Sud, Musumeci: «Questione meridionale finita; ora idee, capacità e visione»

Il ministro: andare oltre questa gabbia

Il ministro Musumeci
Il ministro Musumeci
di Antonino Pane
Domenica 19 Maggio 2024, 08:52 - Ultimo agg. 29 Maggio, 12:45
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Ministro Musumeci, buon giorno, sono un giornalista del Mattino.
«Buongiorno collega. Il titolo del Mattino di oggi (ieri, ndr) è la sintesi perfetta del mio pensiero».

Basta lamentazioni, dunque?
«Basta lamentazioni sul Sud. E lo dice uno che viene dalla profonda provincia di Catania, il Sud più a Sud. E dico veramente basta al muro del pianto. Noi meridionali abbiamo idee, progetti, siamo creativi. Dobbiamo solo impegnarci per osare e vincere».

Nello Musumeci, ministro della Protezione civile e il mare, non ammette repliche.
 

La questione meridionale in questo Paese ha sempre tenuto banco...
«Aveva un senso fino agli anni Ottanta. Oggi è diventata una gabbia ideologica e culturale, è l'anestetico di ogni propulsione, spesso è un comodo alibi per giustificare l'inerzia. Dobbiamo uscirne. Non è più il tempo di paginoni lamentosi sui giornali. La questione meridionale, a mio parere, deve ora essere consegnata allo studio e alla ricerca del mondo accademico. Non può più essere la piattaforma su cui elaborare un progetto di sviluppo. Oggi la questione è nazionale e il Mezzogiorno può giocare la sua partita senza il complesso di Calimero, deve guardare avanti alle sterminate potenzialità dei nostri territori».

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Archiviamo tutto, anche l'industrializzazione del Sud?
«Ma quale industrializzazione? Nel migliore dei casi hanno preso fondi pubblici e sono andati via.

Non è mai esistita una industrializzazione veramente definibile così. Sono 150 anni che ci prendiamo in giro. Guardi Bagnoli, è sotto i vostri occhi. È un monumento al fallimento. Ci hanno provato tutti, a cominciare dalla legge speciale su Napoli. Si sono confrontati modelli culturali socialisti, liberali, popolari, Fortunato, Salvemini, Beneduce, Saraceno, ma con risultati effimeri e non strutturati. La modernizzazione del Sud non può passare da una industrializzazione importata dal Nord».

Insomma, bisogna cambiare paradigma?
«Esatto. Cambiare radicalmente. Le risorse ci sono, ma hanno bisogno di un'idea, un progetto e un cantiere. Il governo Meloni lavora così. Un esempio: il mio ministero ha stanziato per le Regioni 800 milioni del Pnrr per mettere in sicurezza il territorio; 100 milioni solo per la prevenzione dei terremoti nelle isole minori. Ci vogliono subito capacità progettuali; bisogna aprire i cantieri. Ecco il cambio di paradigma. Basta parlarci addosso, agiamo. Altrimenti quel denaro rimane inutilizzato. E lo stesso vale per tutti gli altri fondi disponibili. Il Mezzogiorno può diventare un eldorado se cambiamo modo di guardare al Sud, se la smettiamo di lamentarci e pensiamo a produrre».

Ieri i governatori delle Regioni meridionali, proprio qui al Forum Verso Sud, organizzato da The European House, hanno elencato possibilità di sviluppo dei loro territori in vari settori.
«Cominciamo con il chiamarli presidenti. Hanno ragione, non mancano le possibilità e le prospettive di crescita. Dal Piano Marshall in poi non è certo mancato ai territori meridionali il denaro ma un modello di sviluppo. Un territorio deve decidere una priorità su cui puntare, in base alle vocazioni, al tessuto imprenditoriale di cui dispone. Parlo della mia Regione: non puoi impiantare una raffineria alle porte delle Isole Eolie, come accaduto a Milazzo. Una Regione deve scegliere cosa vuole essere e pianificare di conseguenza, puntare su quello, indirizzare le risorse su quello, elaborare idee e progetti sulla scelta fatta. Non va più bene fare un poco di tutto. Il che non significa trascurare gli altri settori produttivi. Ma agricoltura di qualità, pesca, manifatturiero, turismo, giacimenti culturali, ad esempio, sono settori strategici, specialità che vanno accudite, favorite, implementate. Che senso ha puntare all'industria pesante e inquinante e poi mirare al turismo? Bisogna incentivare la vocazione del territorio, favorire le scelte che meglio si addicono alla storia e alle tradizioni di quella terra, coniugando innovazione, digitalizzazione per restare competitivi. Sono stato presidente della Sicilia; ebbene ricordo benissimo che facemmo fare uno studio sull'attrattività del nostro territorio. Pensate che un terzo dei turisti sceglievano la Sicilia per la enogastronomia, la cucina. Ecco, bisogna saper interpretare la vocazione del territorio quando si fanno le scelte».

Insomma, dobbiamo fare da soli e fare bene...
«Esattamente. Non abbiamo bisogno di scelte calate dall'alto. La Cassa per il Mezzogiorno è stata una straordinaria opportunità, in termini di dotazione infrastrutturale, ma non ha creato un polo di sviluppo. Certamente dobbiamo pretendere dalle istituzioni il dovuto, ci mancherebbe altro. Ma poi dobbiamo andare avanti a testa alta. Io non nascondo le difficoltà. Tutto il governo è consapevole che promuovere un'impresa in Sicilia o in Campania è come camminare a piedi nudi sui vetri rotti. Sappiamo anche, però, che proprio perché più allenati alla sofferenza e alle difficoltà facciamo presto e meglio. Ecco, è il giunto il momento di valorizzare le nostre capacità. E attrarre investimenti stranieri. Dobbiamo riequilibrare un contesto economico e sociale che ha visto nel passato un Settentrione che produce e un Meridione che consuma. E l'Economia del mare, con le sue filiere, diventa la carta del mazzo che il Sud non ha mai giocato. Posso assicurare che il governo è pronto ad assecondare questo cambio di passo».

Un Sud che deve far leva sulle sue potenzialità, dunque?
Che sono tantissime. Ci sono vere e proprie eccellenze imprenditoriali che hanno saputo conquistare significativi spazi di mercato nel mondo. Il Sud può diventare il pontile dell'Europa nel Mediterraneo, se sa cogliere anche le opportunità offerte dalla Economia blu e dalle sue filiere, dalla portualità al diportismo, dal crocieristica alla movimentazione delle merci. Il Piano Mattei introduce il concetto di pari dignità e i Paesi che abbiamo di fronte e nel Vicino e Medio Oriente guardano oggi a noi con occhi diversi. Guardiamo all'Africa non da predatori ma con la consapevolezza di promuovere una seria e inedita politica di scambi e di reciproca utilità. Il Mediterraneo è, e deve diventare sempre di più, la nostra risorsa più preziosa. Voglio essere più esplicito: L'Italia si afferma nel mondo se ha un ruolo nel Mediterraneo. E questo lo deve capire anche l'Europa, che non si è mai dotata nel passato di una seria politica per il bacino euro-afro-asiatico. Il triste naufragio dei buoni propositi della Conferenza di Barcellona del 1995 lo conferma. Fino a ieri Bruxelles ha rivolto le sue attenzioni alle sirene del Baltico e agli interessi dell'Est. Dobbiamo guardare verso Sud, dobbiamo avere la capacità di capire che questa è la nostra grande opportunità di giocare un ruolo da protagonista».
 

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