«Gallerie d'Italia a Napoli, un museo necessario»

A Palazzo Piacentini, di Intesa Sanpaolo, si festeggiano i 600.000 visitatori a due anni dall’inaugurazione: parla il direttore Coppola

Gallerie d'Italia a Napoli
Gallerie d'Italia a Napoli
di Giovanni Chianelli
Sabato 18 Maggio 2024, 08:19
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Due anni e pochi metri. Era il 20 maggio del 2022 quando ha aperto i battenti, in piena via Toledo, vicinissimo al precedente spazio che raccoglieva le sue collezioni, palazzo Zevallos. Ma due anni e pochi metri per Gallerie d’Italia sono stati una rivoluzione. Per il museo di Intesa Sanpaolo e per la scena culturale cittadina: l’arrivo a palazzo Piacentini, ex sede del Banco di Napoli, ha aumentato la superficie espositiva e la centralità del museo che oggi inizia il suo percorso da piano terra, fronte strada, con una visibilità indubbiamente maggiore. Era tra le idee dei responsabili quello di aprirsi a Napoli, mentre la città diventava una delle mete turistiche più desiderate d’Europa. E così oggi Michele Coppola, tra gli artefici del progetto in qualità di direttore dei quattro spazi artistici del gruppo bancario, può dire ad alta voce: «Missione compiuta. E lo dichiaro adesso che sono passati due anni: il primo non è attendibile, si lavora sulla spinta della novità, mentre un biennio è utile a valutare il reale impatto della proposta. E ora il museo ha un’identità consolidata e definita».

Coppola, da dove si parte per un bilancio del primo biennio?

«Da una convinzione: in Europa un progetto così ampio e completo non c’è. E mi riferisco proprio a quello di Napoli, nonostante consideriamo le quattro sedi come parti di un unico museo diffuso».

Non è troppo ambiziosa, come dichiarazione?

«Abbiamo rilevato un intero edificio, tra l’altro molto significativo per la storia del gruppo, ampliando gli spazi per gli allestimenti. Abbiamo incrementato la collezione e dato vita a decine di mostre temporanee di livello assoluto e focus su artisti italiani e internazionali, oltre ad aver sviluppato una sezione permanente cruciale come quella dei vasi attici. Poi le attività: abbiamo lavorato con le scuole, sulle fragilità, organizzato convegni e decine di concerti, rendendo lo spazio un luogo aperto. Un’idea di museo “totale” che le presenze hanno premiato».

Di che numeri parliamo?

«Oltre seicentomila visitatori in due anni, di cui più di centomila under 18. Decine di istituti scolastici coinvolti per oltre mille tra laboratori e workshop. Ma le cifre raccontano solo in parte i risultati, forse lo fa di più un dettaglio: come il biglietto lasciato da una madre che ringraziava Gallerie d’Italia perché non avrebbe mai pensato di portare più di una volta suo figlio in un museo. E invece il nostro spazio è fatto per tornare molte volte».

Parliamo delle mostre.

«Non saprei quale scegliere, tra la prima, “Restituzioni”, o l’afflusso di pubblico che ha salutato l’esposizione dedicata ad Artemisia Gentileschi, o ancora la personale di Mario Schifano con il catalogo andato sold out, e ancora “Napoli al tempo di Napoleone” e l’ultima, su Velàzquez. Mentre altre verranno nel prossimo periodo».

Quali?

«Due già in cantiere, di tipo molto diverso. Una su Andy Warhol che a Napoli è stato molto attivo, un’altra su William Hamilton, pittore inglese del ‘700, illuminista legato alla corte dei Borbone. Ci sono poi due dossier aperti, sempre differenti ma molto affascinanti: il primo coinvolge il francese JR, artista quarantenne di grande fama a cui vorremmo chiedere un progetto site specific che parli della città, l’altro è un focus sulla pittura femminile nella Napoli del ‘600, sulla scorta del successo che ha ottenuto la mostra sulla Gentileschi».

Napoli resta al centro dei programmi?

«Indubbiamente. Ma come snodo di una scena internazionale, senza spinte campanilistiche. Prendiamo ciò che accade con il nostro Caravaggio: il “Martirio di Sant’Orsola” ora è alla National Gallery di Londra che ci ha prestato i Velàzquez, e per alcuni mesi la scena culturale inglese è dominata da Napoli e i suoi capolavori; così deve essere in futuro, Napoli dà una mano a Gallerie d’Italia con la sua visibilità e noi ricambiamo facendo circolare il suo nome, come è avvenuto nel caso della citazione sul “New York Times” dell’anno scorso».

Gallerie d’Italia non è solo museo.

«Si può ascoltare musica, prendere parte a presentazioni di libri e si può cenare sull’attico, gustando le specialità dello chef Giuseppe Iannotti. Tra poco avremo il primo miele ricavato dalle arnie collocate sul tetto del museo: oltre a essere un’offerta gastronomica a centimetro zero è un segnale di sostenibilità ambientale. Oggi chi gestisce un museo deve pensare a tutto, anche al lavoro, e qui da noi ci sono decine di impiegati, la vera forza della nostra realtà».

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