Israele, il monito di una data così simbolica

di Umberto Ranieri
Lunedì 13 Maggio 2024, 23:30 - Ultimo agg. 14 Maggio, 06:00
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Alle ore 16 di venerdì 14 maggio 1948, mentre venivano ammainate le bandiere inglesi, David Ben Gurion, presidente dell’Esecutivo dell’Agenzia ebraica, leggeva a Tel Aviv, dinanzi al parlamentino della Comunità ebraica la Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele.

Il 29 novembre del 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva votato a maggioranza assoluta (33 voti a favore, 13 contro e 10 astenuti) la risoluzione 181 che ripartiva la Palestina occidentale in uno Stato ebraico e uno arabo, un territorio che la Commissione dell’Onu incaricata di individuare la soluzione al conflitto tra comunità ebraica e arabi palestinesi, aveva definito “arido, limitato, e povero di tutte le risorse essenziali”.

Il sorgere di Israele ebbe conseguenze penose per i palestinesi. La verità storica ci dice tuttavia che la risoluzione dell'Onu fu applicata solo allo Stato di Israele. Lo Stato arabo-palestinese non venne realizzato perché gli eserciti degli Stati arabi attaccarono il nuovo vicino ancor prima che ne venisse decretata la nascita. I territori destinati allo Stato palestinese, sulla sponda occidentale del Giordano, vennero annessi dallaTransgiordania mentre l'Egitto occupò la striscia di Gaza. Israele compie 76 anni in uno dei momenti più aspri e difficili della sua storia. In guerra a Gaza contro un nemico che si propone l’islamizzazione della Palestina e la eliminazione della presenza ebraica dalla regione. Guerra innescata da Hamas il 7 ottobre del 2023, quando i terroristi, scrive David Grossman, “ebbri di odio e di ferocia hanno massacrato intere famiglie nelle loro case. Genitori davanti ai loro figli, figli davanti ai loro genitori. Hanno violentato e ucciso persone innocenti che ballavano al Nova Festival. Le hanno inseguite e trucidate…”.

Aggressione avvenuta per bloccare la storica apertura delle relazioni diplomatiche fra Israele e Arabia Saudita. Tappa importante di un processo teso alla stabilizzazione della regione che l’Iran intende impedire. Lo Stato ebraico ha risposto con l’azione militare. Se inevitabile per garantire la sicurezza delle popolazioni al confine con Gaza e per non offrire segnali di debolezza ai tanti nemici esterni è anche la trappola di Hamas e Iran. La trappola su cui, da sempre, contano i gruppi terroristici: creare dolore tra la popolazione civile, sperando si traduca in consenso verso di loro.

Indurre con la ferocia del pogrom del 7 ottobre l’esercito israeliano ad una reazione così dura da minare qualsiasi simpatia Israele abbia raccolto sulla scenamondiale. Destino d'Israele è stato di vivere "con la spada sguainata” diceva Levi Eshkol, primo ministro israeliano durante la guerra dei sei giorni. Ma il costo politico del successo militare si è rivelato sempre più alto.

La sensazione di una vulnerabilità strategica non ha mai abbandonato Israele. La forza militare è stata e resta importante. Oggi occorre tuttavia che la politica torni ad essere fattore decisivo per perseguire l'obiettivo della sicurezza. Di qui la necessità che Israele si riconosca nella strategia cui lavorano gli Stati Uniti: un assetto politico dell’area mediorientale basato sul rinnovo delle intese tra Israele e le monarchie sunnite del Golfo, la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e Arabia Saudita, un itinerario per giungere allo Stato palestinese che comprenda Gaza e la Cisgiordania. Un assetto che isolerebbe l’Iran il cui obiettivo è imporre la propria egemonia sui Paesi sunniti.

Una egemonia che fa perno sulla accelerazione del programma nucleare. Per muovere in questa direzione è indispensabile che sia una rinnovata “Autorità nazionale palestinese” ad assumere la guida della Striscia di Gaza con il sostegno politico ed economico dei Paesi arabi, degli Stati Uniti, dell’Unione europea. Israele è ad un bivio. A Rafah, al confine con l’Egitto, attaccherà in modo da produrre altre migliaia di vittime civili? In quel caso troverebbe l’opposizione degli Stati Uniti, salterebbero gli accordi con le monarchie del Golfo e con Riad, sarebbe a rischio lo stesso storico Trattato di pace con l’Egitto del 1979. Israele imboccherebbe la via “dell’isolamento messianico” invocata dalla destra estrema e dai coloni che sorreggono il governo guidato da Netanyahu, un premier screditato la cui condotta ha lacerato la società israeliana e ha messo a repentaglio la sicurezza di Israele. A tutto vantaggio dei suoi nemici storici. Forse è tempo che Israele ricordi cosa scrisse il più saggio dei suoi re migliaia di anni fa, c’è “un tempo per uccidere e un tempo per sanare…un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

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