Agenti di polizia picchiati da Milano a Palermo: è assalto alle autorità

Si sgretola il rispetto per ruolo e funzione pubblica

Aggressioni alla polizia
Aggressioni alla polizia
di Antonio Menna
Domenica 12 Maggio 2024, 09:00 - Ultimo agg. 18:19
4 Minuti di Lettura

Il ferimento di un poliziotto a Milano sorprende solo chi non ha dato uno sguardo alle statistiche, che pure sono state ampiamente diffuse, nei mesi scorsi, da fonti istituzionali. Il caso del vice ispettore della Polizia di Stato, Christian Di Martino, accoltellato l’altro giorno a Lambrate, è tutt’altro che isolato e occasionale. A dimostrarlo non solo una nuova aggressione venerdì, alla stazione centrale del capoluogo lombardo. Ma i numeri di questi mesi. Solo nel 2023, si contano a Milano ben 97 episodi simili. Ma non è neppure solo una emergenza milanese. Asaps, l’associazione dei sostenitori della Polizia stradale, ha varato tempo fa un osservatorio sulle violenze ai danni delle forze dell’ordine. Lo ha chiamato, provocatoriamente, “lo sbirro pikkiato”. Registra i soli attacchi fisici che hanno provocato lesioni refertate al Pronto soccorso agli operatori di polizia durante i controlli su strada. Sono esclusi, quindi, scontri nella gestione dell’ordine pubblico o altri casi non legati al controllo del territorio. Secondo l’osservatorio sono 2678 gli episodi in Italia nel 2023, per la maggior parte ai danni della Polizia di Stato (47,2%). E quattro su dieci sono avvenuti nel Nord Italia. Il 30,4% nel Mezzogiorno e il 26,9% nelle regioni dell’Italia centrale. Una emergenza, quindi, ben distribuita sul territorio nazionale, con tratti anche molto simili, visto che circa mille di questi episodi riguardano gli stranieri.

I settori

Ma non ci sono solo le forze dell’ordine. Gli ultimi dati dell’Inail presentati al Ministero della Salute segnalano un altro importante fronte di battaglia, quello delle aggressioni ai danni del personale sanitario. Anche qui è stato costituito un Osservatorio nazionale. I numeri dicono che nel 2022 i casi di violenze, aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario sono stati 2.243, in aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Quasi un episodio su tre avviene nel Nord-Ovest (17% in Lombardia, 8% nel Piemonte); il 28% nel Nord-Est (14% in Emilia Romagna e 9% in Veneto), il 22% nel Mezzogiorno e il 19% al Centro. Infine, il personale scolastico. Gli ultimi dati, in questo caso, sono stati presentati lo scorso febbraio dal Ministro Valditara, rispondendo a un Question time in Aula a Montecitorio.

Ventotto le aggressioni ai danni di insegnanti dall’inizio di questo anno scolastico. Nello scorso anno furono 36. Che cosa dicono questi numeri? La prima cosa è che non si tratta di episodi ma di una sequenza strutturata. C’è, evidentemente, una crisi di ruolo dell’autorità pubblica. Che si chiami polizia, sanità o scuola, chi incarna nella sua persona, con una divisa, un camice o una cattedra, la funzione pubblica, e il principio di autorità che essa rappresenta, non gode di alcuna immunità. Al contrario, si sgretola un elemento fondante del patto sociale: il riconoscimento del ruolo, il rispetto per la funzione. Sembra quasi correre di pari passo con un disincanto collettivo verso le istituzioni: il lento logoramento del pubblico potere, partito dalla politica, conduce anche a questo. Possiamo considerarlo un effetto collaterale, che sembra piccolo ma segnala una grande questione, della crisi delle democrazie, a cui fatalmente a un certo punto si risponde con un bisogno maggiore di autoritarismo.

È il rischio vero di corto circuito del mondo libero. La seconda cosa che raccontano i dati è che non esiste una questione legata al solo e negletto Mezzogiorno ribellista e insofferente verso le regole, come pure alcune volte ancora si dice. Le aggressioni ai danni di titolari di pubbliche funzioni sono un problema nazionale. In certi casi sono un problema occidentale delle grandi aree metropolitane, le capitali di territori vasti, come, in Italia, sono davvero solo Milano, Roma e Napoli. Marginalità, povertà, devianza, scollamento: i sobborghi delle metropoli ribollono. Certo, ogni luogo ha le sue particolarità. Ma riconoscere un tema come questione collettiva, di sistema, e non come problema territoriale o fatto occasionale, appare necessario per strutturare un’analisi seria e approntare un progetto di intervento. Fuori dai luoghi comuni, dai pregiudizi e da quella che nel pensiero marxista – guarda un po’ - si chiamava falsa coscienza. Aprire gli occhi, leggere i dati, capire. Quindi, agire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA