«A Casal di Principe appalti gestiti dalla camorra anche quando c'erano i commissari prefettizi»

«A Casal di Principe appalti gestiti dalla camorra anche quando c'erano i commissari prefettizi»
di Mary Liguori
Giovedì 17 Settembre 2015, 11:38 - Ultimo agg. 11:50
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CASERTA - «Il Comune di Casal di Principe era talmente gestito dal clan che abbiamo potuto controllare gli appalti anche nel momento in cui il municipio era commissariato e dopo che è diventato sindaco Renato Natale, avversario del clan, come è noto»: parola di Nicola Panaro, dichiarazioni choc quelle messe a verbale dal pentito, i cui racconti sono le linee «guida» dell'inchiesta «Doma», che due giorni fa ha portato all'arresto di 39 persone e all'emissione di 5 divieti di dimora oltre che al sequestro di beni per dieci milioni di euro. Il gruppo colpito è quello dei Russo, originario di Casal di Principe, ma operativo a Gricignano e ad Aversa, in principio, per poi estendere il proprio predominio con l'imposizione delle slot machine in tutto l'Agroaversano e in molte altre regioni d'Italia.

Pesantissime le dichiarazioni di Panaro, secondo il quale né la gestione prefettizia del Comune, tantomeno l'inserimento di un sindaco fortemente incline alla lotta alla camorra, ha fermato l'influenza dei Casalesi nel controllo degli appalti pubblici.

«I funzionari amministrativi del comune di Casal di Principe collusi con il nostro clan, tra cui Vincenzo Schiavone, detto Cenzino 'o comunale, e Giacomo Letizia erano “persone a disposizione del clan” da sempre, ed i rapporti con loro, dopo la cattura di Francesco Schiavone Sandokan, sono stati gestiti nel tempo da Giuseppe Russo e poi da Corrado Russo, prima che subentrassimo nuovamente, insieme a loro, noi Schiavone, in particolare oltre a me, Nicola». «Invece, - si legge ancora negli atti - per quanto riguarda Nicola Di Caterino, costui era diretta espressione dei Russo, che lo avevano messo là per tenere in mano l'ufficio tecnico comunale». Rapporti tali da non temere di «farla sotto il naso» a chi gestiva il comune per conto della prefettura e a chi si era messo apertamente contro i clan. Da un lato lo Stato faceva sentire la sua presenza, dall'altro i Casalesi non mollavano la presa, continuando a reggere le sorti degli affidamenti dei lavori pubblici. Un paradosso.

Ma di colletti bianchi al soldo del cartello criminale parlano anche le intercettazioni. Una fra tutte, quella registrata il 17 febbraio del 2011 nello studio di Ernesto Capasso (tra gli arrestati). Per il gip, l'imprenditore e colletto bianco è a disposizione della cosca dei Russo anche come interfaccia con esponenti politici. Nel dialogo indicativo di tale condizione, un imprenditore si presenta da Capasso e gli chiede un intervento «politico» presso il deputato Nicola Cosentino allo scopo di conseguire la nomina quale responsabile del ciclo integrato della depurazione delle acque della Regione Campania, quale sostituto dell'ingegnere Generoso Schiavone, pochi giorni prima colpito da un provvedimento cautelare, del suo vice, l'ingegnere Pasquale Fontana, il quale avrebbe dovuto avallare, in tempi brevissimi, due appalti di consistente importo da assegnare con la procedura della "somma urgenza.

Funzionari amici dunque, ma non solo. Sempre il pentito Panaro, in tempi più recenti, ha ricostruito il tipo di rapporto che si era andato a creare tra i camorristi e gli imprenditori. Questi ultimi non sono solo estorti, non sono solo vittime: quelle che hanno intrecciato con la malavita sono relazioni pericolose e convenienti, piuttosto, alleanze stipulate per fini affaristici. Come dire: stare dalla parte dei forti, anche se "forti" sta per camorristi, a volte conviene. È stato così per l'arcinota vicenda del «Caffè Orientale», per la cui torrefazione i Russo entrarono in società con i titolari del marchio, ed ha continuato ad essere così per le slot machine: il clan imponeva il caffè, poi le macchinette mangiasoldi, e di ciò giovavano i Casalesi, ma anche gli imprenditori che prima le forniture di caffè, poi i videopoker, andavano ad installarle perché i clienti erano "assicurati" dalle minacce degli sgherri dei Russo. L'inchiesta "Doma" evidenzia ancora una volta, semmai ve ne fosse bisogno, il grado di penetrazione dei Casalesi spa nel tessuto imprenditoriale, politico e amministrativo dell'Agroaversano, che viene ad essere anche un trampolino di lancio per business che raggiungono molte altre zone d'Italia.

Una cabina di regia per un copione che, secondo la Dda, è andato in scena in numerose città anche lontane dalla Campania.

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