Casalesi, gli ordini feroci dell'erede del clan: «Sbattete i soldi in faccia a quei due»

Casalesi, gli ordini feroci dell'erede del clan: «Sbattete i soldi in faccia a quei due»
di Mary Liguori
Giovedì 8 Ottobre 2015, 11:46 - Ultimo agg. 12:07
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L’audacia, e la violenza del giovane ras di Casal di Principe colpito ieri nel carcere di Terni da una nuova ordinanza di custodia cautelare, emergono dai racconti di Eduardo Martino, altro collaboratore ascoltato dalla Procura nel mese di marzo scorso. «Quando i fratelli proprietari dell’ingrosso di legnami ci consegnarono solo 700 euro invece di 1500, Carmine Schiavone diventò una furia».



Il figlio del boss disse ai suoi gregari: «Tornate da quei due e sbattetegli i soldi in faccia: mica ci dobbiamo comprare la droga?». Un affronto, dunque, che solo per caso non ebbe sviluppi peggiori, dal momento che la quota fu poi recuperata da Panaro.

Lo scenario, immutato dopo la decapitazione della cupola storia dei Casalesi, è contenuto nelle 55 pagine della misura cautelare, uno spaccato che, traendo spunto dall’odissea di una singola vittima, mette in evidenza la ferocia di un gruppo che né gli arresti eccellenti, tantomeno le condanne, erano riusciti a frenare. Nel contempo, un terreno fertile sul quale continuare ad agire e altrettanto invariato rispetto al passato: l’omertà dei commercianti mai veramente disposti a dire basta e ad affidarsi alle forze dell’ordine per mettere fine a soprusi durati decenni. Con l’avvicendarsi delle nuove leve, insomma, la situazione nell’Agro aversano, nel periodo esaminato dalla Dda, non era affatto cambiata. Scientifica la gestione della cassa del clan: dopo la cattura di Nicola, Carmine Schiavone prende in mano le redini del clan e compila una lista. Da un lato i soldi da dare agli affiliati, dall’altro il denaro da estorcere a commercianti e imprenditori.

Il libro mastro fu sequestrato durante le indagini dai carabinieri di Casal di Principe: conteneva un primo elenco con annotati i nomi, a volte i soprannomi, dei gregari che venivano pagati con somme di tremila euro ogni quattro mesi, e un secondo memoriale con le aziende da taglieggiare dalle quali il clan pretendeva quote oscillanti tra i mille e i 4mila euro nelle tre scadenze «classiche»: Natale, Pasqua e Ferragosto.



Altro aspetto messo in evidenza dalla procura, è il personaggio Paolo Panaro. Fratello del più noto collaboratore di giustizia Nicola e suo vivandiere nel periodo della latitanza, l’uomo era libero da diverso tempo e viveva a Casal di Principe. Dalla lettura della misura emerge un personaggio spregiudicato e violento, capace di recuperare le somme richieste dagli Schiavone da quegli imprenditori che facevano una certa resistenza, ma anche in grado di sfidare apertamente il clan senza subire alcuna conseguenza. Tra i verbali messi agli atti, ce n’è uno che riepiloga un episodio che risale al 1997. Panaro litigò con un uomo all’interno del «Club Napoli» di Casal di Principe, fondato qualche tempo prima direttamente dal boss Francesco Schiavone «Sandokan». Dopo la rissa, Panaro diede fuoco al club, ma stranamente non ci furono ripercussioni contro di lui. Probabilmente, non ci furono conseguenze perché la cosca lo considerava il più infallibile dei suo sgherri e soprattutto uno pronto a qualsiasi cosa per portar soldi alle casse dei Casalesi. «Quando un commerciante si rifiutava di pagare, o non pagava in tempo, eravamo autorizzati a rapinarlo», dicono diversi collaboratori.
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