La grande magia di Eduardo

La grande magia di Eduardo
di Raffaele La Capria
Giovedì 30 Ottobre 2014, 04:09 - Ultimo agg. 1 Novembre, 15:20
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Con gli anni la fama di Eduardo De Filippo, l'importanza del suo teatro nel panorama europeo, è andata sempre più crescendo. E se qualcuno aveva pensato che con la sua morte sarebbe venuto a mancare ai suoi testi il sostegno decisivo dell'attore, ebbene così non è stato. Il teatro di Eduardo pur privato della prestigiosa sua presenza, ha resistito e le sue commedie vengono rappresentate continuamente con un successo che non è mai venuto meno. I testi scritti da Eduardo portano tutti l'impronta del suo genio e sono tutti di altissimo livello, ma io credo di poter distinguere un primo Eduardo, fino al 1945, e un secondo Eduardo venuto dopo in varie forme.



Del 1945 è «Napoli milionaria!», che segna il cambiamento. Con questa commedia Eduardo capisce e sente, prima di Pasolini, che è avvenuta una «catastrofe antropologica», più grave a Napoli che altrove: e prima a Napoli che altrove: i costumi, i comportamenti, la morale delle persone sono mutati, l'occupazione americana, e la corruzione che ha portato, hanno accelerato questo processo e hanno trasformato del tutto il napoletano di una volta, quello che lui aveva rappresentato nel suo teatro. Quel personaggio non è più lo stesso fa parte di un passato che è scomparso.



Ed ecco che un anno dopo «Napoli milionaria!», nel 1946, Eduardo scrive «Questi fantasmi!». Cosa è accaduto? Una sottile inquietudine si è impadronita di lui, e lui è diventato lo stralunato personaggio di Pasquale Lojacono che si aggira non più nella vecchia Napoli rassicurante di una volta, ma in un strano palazzo kafkiano abitato da fantasmi persecutori. Questo personaggio non appartiene più alla Napoli della tradizione, ma è entrato in una inquietante zona novecentesca, quella abitata dai personaggi di Pirandello, di Ionesco, di Beckett.

Naturalmente questa è un'opinione discutibile, mai io così ho sentito e così ho avvertito il cambiamento. Mi è sembrato che Eduardo avesse introdotto nel contesto della grande tradizione del teatro napoletano a cui lui si rifaceva, quella che va da Petito a Scarpetta, un elemento nuovo, astratto e concettuale, che scompaginava la compatta concretezza e l'interno deposito di certezze del teatro precedente.



Così ho scritto in una pagina a lui dedicata: «l'introduzione di questo elemento intellettuale destabilizzante, che corrisponde tuttavia a un certo tipo di follia molto napoletana, sembra abbastanza strano in un autore che aveva detto sempre di sé stesso di essere un “illetterato”, cioè di attenersi all'esperienza della vita dei più - cioè del popolo di Napoli - piuttosto che alla filosofia dei colti». Ma sono queste contraddizioni che rendono interessante il teatro di Eduardo e che si insinuano anche nella struttura di «Questi fantasmi!». I fantasmi insomma sono i napoletani che perseguitano Pasquale Lojacono? Quelli da cui Lojacono si distrae parlando col vicino della preparazione perfetta del caffè, ma anche dell'“elefante” e delle altre apparizioni? Con quale abile dosaggio gli elementi del vecchio e irresistibile repertorio del teatro comico napoletano (le apparizioni con accompagnamento di lampi e tuoni) si mescolano con la presenza del personaggio che li guarda da una prospettiva distanziata, quella di un'anima in pena, l'anima di un uomo del Novecento senza più certezze, che ha smarrito il senso della realtà.



Questo elemento di straniazione e di follia si trova anche in commedie più composte e meno agitate. Per esempio in «Non ti pago» che trasforma una situazione tipicamente napoletana (il sogno che rivela i numeri vincenti del lotto) in una commedia dell'assurdo (Ionesco) condotta caparbiamente e contro ogni evidenza su un ragionamento del tutto illogico. O ancora ne «La grande magia» o ne «Le voci di dentro», commedie che direi “metafisiche”, e che a me piacciono di più di quelle celebratissime e realistiche come «Sabato domenica e lunedì» o come «Filumena Marturano». Tutto il teatro di Eduardo si svolge è vero nel “presepio”, per così dire, della città di Napoli. Ma a volte a Eduardo «non piaceva il presepio», perché quel presepio era stato distrutto, e sceglieva di uscirne attraverso un diverso modo di rappresentarlo.