Il perdono di Dio
e l'anatema di Sepe

Martedì 13 Novembre 2012, 09:40 - Ultimo agg. 20 Novembre, 14:12
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Quando Don Camillo fu costretto a barricarsi nel campanile di Brescello, perch Peppone gli aveva imposto di suonare le campane per un giovane “compagno” morto in una manifestazione, egli si rifiut di farlo, in quanto, quel defunto faceva parte di gente dichiaratamente atea e rivoluzionaria “mangiapreti”. Ebbene, di fronte a quella salma, il prete guareschiano si commuove ed, affermando che tutti, nella morte, sono figli di Dio, effettua i rintocchi di rito.

Il Cardinal Sepe, giustamente scosso per i fatti di Camorra, forse è meno umano di Don Camillo? E se un camorrista mentre muore si pente all’ultimo istante, donando la propria anima a Dio, senza che nessuno (degli umani, ovviamente) lo percepisca, negherebbe questo una santa benedizione? Mi scusi, odio quanto il Cardinale la cattiva gente, ma non è con gli anatemi “mistici” che la si combatte…



Roberto Pepe - EMAIL



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Caro Pepe, capisco le sue perplessità di cattolico. Ma la inviterei a leggere l’anatema del cardinale Sepe come un evidente passo avanti da parte della Chiesa in terra di camorra. Poiché non possiamo certo ascrivere l’arcivescovo di Napoli alla schiera dell’antimafia un tanto al chilo, chiediamoci piuttosto perché dalla sua voce arrivi l’altolà addirittura ai funerali in chiesa per boss e affini, salvo che non si siano pentiti prima.

Mi rendo conto che il discrimine per poter classificare il defunto come camorrista sia esile e che l’intesa che la Curia sta avviando con la Procura per poter segnalare in tempo il peso specifico e criminale sia di difficile gestione e applicazione. Ma è chiaro il segnale politico che Sepe ha inteso dare, soprattutto a fronte delle accuse - in certi casi motivate - che la Chiesa ha ricevuto negli ultimi anni di essere stata troppo indulgente nei confronti dei camorristi della porta o della parrocchia accanto.

C’è stato indubbiamente, in passato, un deficit che ha portato per esempio a far sì che il parroco di Casapesenna definisse il superboss Zagaria «un fedele come gli altri», senza la dovuta presa di distanza. Eppure a pochi chilometri un altro sacerdote, purtroppo proveniente da più nordiche contrade, denunciava il pizzo imposto agli imprenditori della zona.

Insomma, la Curia di Napoli ha battuto un colpo. Personalmente spero che ne batta altri in una guerra in cui, pur coltivandolo, è più opportuno lasciare il dubbio nella privatissima sfera di coscienza.






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