«Ciro a mare», sei anni dopo, per il ristorante incendiato dalla camorra, riparte la sfida

«Ciro a mare», sei anni dopo, per il ristorante incendiato dalla camorra, riparte la sfida
di Maurizio Capozzo <
Lunedì 6 Luglio 2015, 22:05 - Ultimo agg. 22:06
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Portici. «Mai più soli». Proprio come la famiglia Rossi, proprietaria del ristorante «Ciro a Mare»: da quando ha deciso di ribellarsi al racket ha creato intorno a sé una rete di solidarietà che ha rotto il muro dell’omertà.



Una rete molto forte ma non abbastanza da riuscire a rimettere in piedi lo storico locale del Granatello, messo in ginocchio dalla camorra ma anche dalla burocrazia. E per testimoniare questo impegno che dura da anni, Tanto Grasso, padre dell’associazionismo antiracket in Italia, ha deciso di presentare proprio sulla spiaggia delle Mortelle, davanti al rudere di «Ciro a Mare» - distrutto con il fuoco nella notte del 4 gennaio 2009 - il suo libro scritto con la partecipazione del presidente del Senato, Piero Grasso.



Al Granatello ieri pomeriggio per partecipare alla presentazione di «Mai più soli, le vittime di estorsione ed usura nel procedimento penale», c’erano tutti i protagonisti di questa triste storia che, sei anni fa, fece il giro del mondo insieme a quella foto che ritraeva il ristorante in fumo con la scritta «chiuso per camorra».



C’erano Raffaele Rossi con i suoi familiari, Ciro Maglioli, dell’associazione antiracket di Portici, padre Giorgio Pisano, da anni in prima linea contro il pizzo ed il malaffare, il vicario del prefetto di Napoli, Giovanna Via, il commissario straordinario antiracket, Santi Giuffrè. E c’erano anche i rappresentanti delle forze dell’ordine e tanti cittadini comuni nella piazza antistante la spiaggia delle Mortelle, a riprova che la gente non dimentica, che la solidarietà non si ferma.



«Non è a caso che abbiamo scelto questo luogo per la presentazione del libro – spiega Tano Grasso, presidente onorario della Fondazione Antiracket - Ciro a Mare per noi è la prova che al pizzo ci si può e ci si deve ribellare, abbiamo una sentenza definitiva che ha condannato gli autori di questa barbarie, siamo al fianco dei Rossi per arrivare quanto prima alla riapertura del locale, dopo aver registrato una grande disponibilità in questo senso da parte del sindaco. Qui non è in discussione solo il futuro di una famiglia – ha aggiunto Grasso – ma il futuro e la credibilità di una nazione».



Non ha risparmiato parole dure padre Giorgio Pisano nel ricordare i sacrifici di tanti imprenditori e gli sforzi di quella parte sana della comunità che quotidianamente sono costretti a fare i conti con il malaffare che dilaga, «ma l’esempio di Raffaele Rossi e della sua famiglia ci deve incoraggiare ad andare avanti in questa battaglia giorno dopo giorno». Visibilmente commosso nel ritornare sotto le rovine del suo ristorante, Rossi non nasconde l’amarezza nel vedere quel rudere abbandonato senza una prospettiva concreta di riapertura.



«Sono stato costretto a rimboccarmi le maniche e tornare a lavorare per altri quando avevo la possibilità di vivere e produrre nell’azienda messa in piedi da mio padre, dai miei zii, ma fino ad oggi ho registrato solo promesse. Oggi mi aspetto solo che qualcuno traduca in fatti l’impegno che lo Stato assunse con me e la mia famiglia quando ci chiesero di rimuovere lo striscione con la scritta ”chiuso per camorra”, assicurandoci che presto avremmo dovuto scrivere ”aperto contro la camorra”».



Parla di «una storia di incredibile follia» il sindaco Nicola Marrone, quando ricostruisce i problemi burocratici moltiplicatisi negli anni all’ombra di quel ristorante costruito su suolo comunale e che oggi rendono complicato trovare una soluzione per riportare la vicenda negli ambiti della correttezza amministrativa.



«Stiamo lavorando coi tecnici ed i legali dell’Ente e della famiglia Rossi per valutare ogni soluzione nel rispetto delle regole – ha aggiunto Marrone – compresa una ipotesi transattiva che mi consenta di tener fede ad un impegno assunto coi Rossi a nome dell’intera città di Portici».
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