Morto Biagio Passalacqua, addio al «re» del caffè napoletano

Morto Biagio Passalacqua, addio al «re» del caffè napoletano
di ​Antonio Vastarelli
Giovedì 4 Dicembre 2014, 14:47 - Ultimo agg. 14:49
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«È possibile fare un pessimo caffè con una buona miscela, ma non fare un buon caffè con una miscela scadente»: era questa una delle profonde convinzioni di Biagio Passalacqua, il patron dell’omonima fabbrica di torrefazione, che ieri si è spento all’età di 93 anni. Una vita al servizio di una delle eccellenze dell’immaginario napoletano grazie alla forza di una famiglia che, da Casavatore, ha girato il mondo, notissima per l’inconfondibile logo, quello di un bambino che si lecca i baffi: a tutti sembra un ”pellerossa” uscito da un film western, ma in realtà non è così.



Lo stesso Biagio ha più volte raccontato la nascita del logo con un’intuizione del padre Samuele (che fondò la ditta nel 1948) il quale un giorno decise di dare una goccia di caffè ad un ragazzino che, ogni volta che vedeva arrivare le tazzine di caffè, chiedeva di assaggiarlo. Ad ispirarlo fu il modo in cui il ragazzino si leccò le labbra, per manifestare che la bevanda gli era piaciuta. Da quel momento, Samuele decise che quel volto sarebbe stato l’immagine della Passalacqua: le due piume sul capo del ragazzo richiamavano, invece, la cultura del Messico, luogo dal quale arrivavano i primi approvvigionamenti di materia prima.



Nel corso degli anni, partendo da una torrefattrice di 5 chilogrammi, la S.Passalacqua Spa è riuscita a costruire una realtà solida che produce 3.460 chili di caffè all’ora e 14 miscele in uno stabilimento di circa 6mila metri quadrati. Gran parte di questo successo è dovuto alla dedizione di Biagio che ha trasportato nel terzo millennio l’idea del padre, lasciandola ai nipoti, che oggi portano avanti la produzione e la commercializzazione dei prodotti, la cui caratteristica è sempre stata l’elevata qualità. Tutti i napoletani conoscono il caffè Passalacqua, soprattutto per averlo bevuto nella catena di bar ”di famiglia” a marchio Mexico (oggi Mekico), che hanno contribuito a diffonderne il successo anche nel resto d’Italia e nel mondo.



Negli anni Sessanta, infatti, come ha raccontato proprio pochi mesi fa lo stesso Biagio Passalacqua, lo scrittore Mario Soldati scrisse sul quotidiano la Stampa di Torino di aver bevuto il miglior caffè d’Italia a Napoli, al bar Mexico di piazza Dante (primo punto vendita aperto). Grazie a questo spot inaspettato, e a una strategia di vendita al dettaglio per corrispondenza, oggi il caffè Passalacqua è esportato praticamente in tutta Europa (Islanda compresa), così come in Giappone, Stati Uniti, Canada, Australia e Filippine.



Tra i prodotti di cui Biagio Passalacqua andava più orgoglioso c’è il decaffeinato che, sottolineava, «non è un caffè a metà, perché - spiegava - abbiamo usato i caffè più aromatici per attenuare gli effetti negativi della decaffeinazione e ottenere un gusto dolce e pieno». Alla tradizione (in azienda il caffè si fa solo con la macchinetta napoletana), si è unita poi l’innovazione portata dai nipoti, che hanno gestito insieme a lui l’azienda, e che continueranno a farlo, cercando di trarre ispirazione dal rigore e dal sacrificio che il «re» del caffè napoletano ha sempre dimostrato nel suo lavoro.



Fino all’ultimo, sempre in prima linea anche negli ultimi anni che hanno visto l’azienda resistere sui mercati, nonostante la crisi. Un «re» discreto, che se ne va in punta di piedi, con la misura che lo caratterizzava: nella pubblicità, il suo caffè lo aveva definito ”solo” «uno dei migliori...»



Lo piange la famiglia, ma anche la città, che a quel simbolo buffo del suo marchio è affezionata, come al suo caffè dall’aroma deciso. Parenti e amici gli daranno l’addio stamattina alle 10 nella chiesa San Giovanni dei Fiorentini di Napoli.