Il cancro criminale e le cure palliative

Il cancro criminale e le cure palliative
di Vittorio Del Tufo
Giovedì 8 Ottobre 2015, 18:54 - Ultimo agg. 18:58
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Il gioielliere che ieri mattina ha reagito uccidendo i due banditi che lo stavano rapinando con una pistola caricata a salve non è né un eroe né un giustiziere, non merita né medaglie né insulti. L’incubo nel quale è precipitato in pochi secondi è lo stesso nel quale galleggia da troppo tempo un territorio disgraziato e indifeso.



Altro che eroe, altro che giustiziere: lasciamo da parte le speculazioni politiche e veniamo al punto. Dalle paranze di bambini-boss alle batterie dei più esperti (ma forse no) criminali di strada, la lama della paura affonda ogni giorno di più nel ventre di Napoli e nelle purulenti piaghe della sua immensa area metropolitana. Ponticelli, Sanità, Rione Traiano, Soccavo, Forcella. In questi mesi abbiamo avuto numerose conferme di quanto l’inesauribile serbatorio di manovalanza criminale e potenzialmente omicida sia ramificato e diffuso nel territorio; di quanto peschi nel disagio sociale. Ma la geografia del crimine si arricchisce ogni giorno di nuovi tasselli fino a formare una galassia ormai fuori controllo: tanto più pervasiva quanto più alimentata dalla crisi economica e dall’assenza di politiche sociali di recupero per strati sempre più larghi della popolazione.



Poi ci ritroviamo a contare i morti ammazzati, un commerciante impaurito spara, uccide (ora è indagato per eccesso colposo di legittima difesa) e le analisi arretrano, le parole rimpiccioliscono. Una cosa, però, va ribadita con forza: è bene che si diffonda, a tutti i livelli, la consapevolezza che questa trama dell’orrore non è, non può essere, solo un affare di polizia e apparati di sicurezza, ma una grande emergenza nazionale che chiama in causa le responsabilità di tutti. E richiede interventi di bonifica del territorio a trecentosessanta gradi.



Se Napoli sta pagando un prezzo altissimo al «carrierismo», chiamiamolo così, degli aspiranti boss di camorra, la sua area metropolitana continua a fare i conti con una deriva di violenza e microcriminalità che quasi rischia di non fare più notizia. Nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, aveva mostrato disponibilità ad aumentare il contributo di militari se la situazione di Napoli e della Campania dovesse avere necessità di una «attenzione particolare». Bene: Napoli reclama attenzione, anzi la pretende.



E ben vengano nuovi soldati se servono a presidiare gli obiettivi sensibili, liberando così le forze dell’ordine che potranno dedicarsi esclusivamente al controllo del territorio. Li accogliamo con favore, ma sia chiaro, al governo e a noi tutti: l’Esercito non è una soluzione. Rischia invece, nel deserto della politica, dell’economia, dello Stato, delle politiche sociali, di diventare qualcosa di simile a uno specchietto per le allodole.



Sradicare dal territorio una criminalità che non è un dato genetico né costitutivo, come qualcuno ha proditoriamente affermato, ma pervasiva e diffusa come un cancro, è un obiettivo che non potrà essere raggiunto inviando a Napoli e in provincia duecento uomini in più, ma mettendo in campo interventi sociali, urbanistici, giudiziari rimasti finora nel cassetto delle buone intenzioni.
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