Giorgio Moroder a Napoli: «Da Donna Summer ai Daft Punk, l’importante è tenere il ritmo giusto»

Giorgio Moroder a Napoli: «Da Donna Summer ai Daft Punk, l’importante è tenere il ritmo giusto»
di ​Andrea Spinelli
Sabato 21 Novembre 2015, 12:40 - Ultimo agg. 14 Novembre, 13:04
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Per richiamare più pubblico il dj set più atteso del mese, forse anche dell’anno, almeno dai nostalgici, è stato spostato da domani a stasera, sempre alla Casa della Musica, che si travestirà per l’occasione da dancefloor anni Settanta/Ottanta. La domanda degli addetti ai lavori è una sola: sir Giorgio Moroder riaccenderà anche a Napoli la febbre del sabato sera? Il popolo del nightclubbing, più o meno giovane, più o meno «reduce», non ha dubbi: sarà un evento, anche mondano, come conferma anche l’affollamento di sigle che propone l’appuntamento: Nabilah e Drop in collaborazione con Lunare Project, Village Blues, UMF.



La sorprende tutta questa ritrovata attenzione intorno a lei, Moroder?

«Fino a qualche tempo fa mi avrebbe sorpreso scoprire che ero tornato di moda, anche se l’attenzione per la mia produzione non è mai cessata. Ma da quando, a inizio estate, ho pubblicato un album come ”Déja vu”, a trent’anni dal precedente, ero pronto per ritrovare il contatto con il grande pubblico. Ma ragionavo in termini di vendite, non certo di esibizioni live, di bagni di folla come, forse, non mi eroi mai concesso nemmeno negli anni d’oro».



Anni in cui David Bowie e Freddie Mercury chiedevano l’aiuto dell’italiano della Val Gardena incoronato signore dell’eurodisco. Oggi sono le collaborazioni, da lei richieste, con Sia, Kylie Minogue, Britney Spears, Charli XCX, Kelis, Mikky Ekko, Foxes, Matthew Koma e Marlene, a presentarla al grande pubblico.

«In realtà a riaccendere la luce su di me sono stati i Daft Punk: è stato bello scoprire che nel loro computer c’erano i suoni che avevo escogitato per ”Flashdance” e ”Hot stuff”, per ”Call me” e ”Putting out of fire”. È buffo ritrovarsi titolo di una canzone della premiata ditta della dance postmoderna, ma decisamente piacevole».



Com’è cambiata la scena musicale dai suoi tempi all’edm, l’electronic dance music?

«Nei tempi della disco music i dj erano protagonisti, non star, oggi hanno sostituito i cantanti e i chitarristi nel pantheon della fama. Il nostro era un movimento di moda, di costume, musicale, sessuale, ma al centro di tutto, almeno nei casi migliori, c’erano vere e proprie canzoni. Oggi di canzoni non ne sento, forse c’è Avicii che tenta di tornare al futuro».



Ospite d’onore dell’ultima puntata di «X Factor» dedicata interamente alla disco music, come vive la nuova tecnologia a disposizione dei producer suoi eredi?

«A 73 anni prendo tutto con filosofia, ma l’energia che si respirava nel talent show era emozionante. Io ho iniziato da un moog, dai suoni profondi e misteriosi che regalava al posto di una linea di basso, cominciai a sperimentare così con Donna Summer e il canto orgasmatico di ”I feel love”. Oggi dj e produttori hanno strumenti che rendono tutto facile, ma, come allora, sulla pista da ballo conta il risultato: se rendi felice le persone per qualche minuto, se faciliti la conoscenza e, magari anche il rimorchio, allora... Ok, il pezzo, e il ritmo, è giusto».