Immigrati: presi fondi, ma cibo, vestiti e assistenza scarsi. La replica dell'Arci: facciamo del nostro meglio | Ft e vd

Immigrati: presi fondi, ma cibo, vestiti e assistenza scarsi. La replica dell'Arci: facciamo del nostro meglio | Ft e vd
di Marina Cappitti
Sabato 6 Giugno 2015, 15:55 - Ultimo agg. 18:42
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Da una parte c’è il progetto – ‘Terra: radici dell’integrazione’ - con servizi di accoglienza in denaro e/o beni necessari, la mensa quotidiana, vestiti, prodotti per l’igiene personale, farmaci, assistenza sanitaria, supporto psicologico e legale, mediatori culturali.

E ci sono i soldi: quasi 742mila euro di finanziamenti europei (fondo asilo, migrazione e integrazione) assegnati all’associazione Arci che partecipa al bando e con quel progetto – della durata di 8 mesi - se li aggiudica. Dall’altra parte ci sono alcuni immigrati ed operatori sociali con le testimonianze e le denunce. Cibo scarso, tanto che saranno gli operatori stanchi di solleciti inascoltati a comprarlo di tasca loro. A regalare vestiti ed indumenti intimi, perché dopo la tuta del primo giorno – dicono - non arriverà più nulla.

“Neanche una crema per la pelle, diventata quasi biancastra per la disidratazione”. Alcune case dell’Arci a Casoria in cui vengono ospitati al loro arrivo – denunciano - sono sporche con cumuli di polvere sotto i letti, pareti nere per l’umidità, scarafaggi e blatte perfino nel frigorifero. Anche disinfettanti e insetticidi richiesti tarderanno ad arrivare. Da aprile ad oggi nessun legale o mediatore culturale che li aiuti a farsi capire, lo psicologo ha fatto visita ai ragazzi pochissime volte, mentre il medico – raccontano - è arrivato solo quando è stato chiamato d’urgenza dagli operatori. Ma soprattutto nessuna analisi dal loro arrivo, contagi da scabbia e salute peggiorata per la mancata assistenza e medicinali arrivati in ritardo.

Già dall’arrivo, la realtà è ben diversa da come era stata raccontata ai 36 giovani assunti dall’Arci con un contratto mensile (sei turni al mese di 24 ore per 600 euro) – rinnovati alla metà (a detta degli operatori per le condizioni lavorative, a detta dell'Arci perché non tutti meritevoli) – come operatori di comunità. I 50 minori immigrati arrivano per la maggior parte dall’Africa e saranno dislocati nelle case famiglie dell’Arci a Casoria. “Al momento della stipula del contratto – raccontano gli operatori – ci dicono che sarebbero arrivati a Casoria dopo aver trascorso 4 mesi in prima accoglienza in Calabria. Ci tranquillizzano dicendo che sono in Italia da un po’ e che quindi sono già adattati e sereni e di non preoccuparci semmai qualcuno dovesse scappare, dunque non trattenerli, semplicemente denunciarne la scomparsa”.

In realtà come raccontano gli stessi immigrati i ragazzi giungono a Casoria, ma sono sbarcati da pochi giorni con cicatrici, infezioni e alcuni senza indumenti adatti. Saranno anche gli operatori di turno quella mattina ad andare all’azienda ospedaliera specialistica dei Colli di Napoli per seguire i ragazzi nelle loro visite di controllo. Tre immigrati vengono ricoverati per polmonite e febbre alta. La diagnosi per la maggior parte è "altro malessere e sindrome di affaticamento" con sospetta scabbia per cui si consigliano visite dermatologiche e terapie. I giovani rientrano in comunità senza aver fatto analisi del sangue, delle urine, delle feci, né le faranno quando il primo maggio un medico chiamato d’urgenza dagli operatori sociali per alcuni ragazzi che stanno male prescriverà di farle per la tutela della salute degli sbarcati, ma anche di chi ci lavora accanto. “Alcuni vengono curati in casa insieme a compagni ed operatori.

Coloro i quali avevano bisogno di cure domestiche hanno cominciato la terapia dopo almeno due settimane”. “Siamo stati in comunità con casi di febbre inspiegabile alta fino a 39.9- continua uno di loro -. Ragazzi con scabbia e stipsi per settimane, quest’ultima rilevata da un medico della croce rossa che è arrivato il primo maggio, dopo un mese. Alcuni dei medicinali prescritti non sono mai arrivati e le analisi primarie fortemente consigliate ad oggi non sono state fatte”. Una settimana dopo una delle operatrici è costretta a chiamare il 118. In casa con i ragazzi per 24 ore e per almeno due volte a settimana, non ha potuto non notare che qualcosa non andasse. Un ragazzo di sedici anni viene trasportato d’urgenza all’ospedale Cotugno di Napoli. Al giovane sarà diagnosticata una serie di problemi renali, pressione arteriosa alta con epistassi nasale e versamento pleurico nei polmoni.

Le provviste di cibo presenti in casa non bastano, dopo i primi giorni gli operatori stanchi di richieste inascoltate all’associazione comprano con i loro soldi verdure, formaggio, fruste, biscotti, sofficini, pane... “Da quando siamo arrivati ci hanno dato da mangiare sempre spaghetti e riso – dicono i minori, quando li andiamo a trovare stanno cucinando pasta al sugo – mattina e sera. Solo da una decina di giorni sono arrivati anche patate e pasta”. Stessa cosa vale per i vestiti. “Ci hanno dato una tuta, poi tutto il resto ce l’hanno portato operatori ed amici. Ma sono vestiti usati, a volte anche sporchi”. “Abbiamo richiesto spesso anche crema per il corpo data la forte secchezza della pelle dei ragazzi – hanno aggiunto gli operatori - ma considerato che non ci è mai stata portata, ci siamo sentiti in dovere di comprarla noi per loro”.

Anche quaderni, penne, palloni, carte verranno portati dagli operatori. “Qualche volta gli operatori ci portano al parco qui vicino. Ci piacerebbe uscire, vedere Napoli. Vorremmo studiare, lavorare ed invece a volte ci sentiamo come se fossimo in prigione e a stare sempre chiusi qui ci fa pensare alle nostre famiglie lontane”. Famiglie che alcuni non sentono da quasi un mese. “Non abbiamo un telefono, solo da pochi giorni un operatore ci ha dato un portatile per sedici persone, quando riusciamo contattiamo la famiglia su Facebok e msn”.

I ragazzi dicono timidamente con gli occhi lucidi che una volta sbarcati credevano sarebbe stato meglio, che sarebbero stati più liberi. Uno di loro spera di andare in Inghilterra e fare il calciatore professionista, altri vorrebbero solo uscire, poter lavorare ed aiutare la famiglia. Sentirsi felici, sorridere un po’. “E’ per questo che abbiamo deciso di denunciare – dicono alcuni assistenti incoraggiati dalle ultime inchieste e dai controlli in corso su alcuni enti promotori di iniziative per l’immigrazione e l’integrazione -. Ora stanno imbiancando le pareti di fretta e furia e qualcosa sta cambiando, ma noi vogliamo si faccia luce sulla vicenda nell’interesse dei ragazzi. Sono stati stanziati dei fondi europei che sono in primis destinati a loro e queste persone cui è stato promesso aiuto e assistenza meritano di essere trattate meglio”.

A rispondere alle accuse è il presidente dell’Arci, Mariano Anniciello. “Il nostro – premette - è un progetto serio finanziato con fondi europei cui siamo tenuti a rendicontare tutto e che ha come partner associazioni importanti come Save The Children e la Croce Rossa Italiana. Sulle condizioni igienico sanitarie dei minori appena arrivati ci era stato detto che erano sopravvissuti al primo naufragio di 400 persone, che erano sani e ci siamo fidati delle relazioni che ci hanno inoltrato da Reggio Calabria. Ma comunque li abbiamo portati all’ospedale dei Colli con un autobus e li hanno subito visitati e sottoposti anche a test di scabbia e tubercolosi. Il nostro è un progetto di prima accoglienza quindi in realtà non si dovrebbe occupare di aspetti strettamente sanitari, ma l’abbiamo fatto ed è tutto documentato. Le altre analisi e i loro tempi e modalità non li decidiamo noi, ma l’ospedale. E per le terapie abbiamo degli operatori della Croce Rossa che monitorano e nel caso fanno trasporti nelle strutture”. Sulle condizioni delle case e sul cibo “abbiamo un nucleo di monitoraggio e abbiamo fatto causa per infiltrazioni al proprietario della casa e inviato un ingegnere. Mentre sul cibo c’è un operatore chef che cambia il menu in base alle esigenze. A mio avviso cibo e vestiti vengono forniti sufficientemente. Per tutto il resto se gli operatori comprano qualcosa, anticipano e vengono rimborsati”. Mentre sulle testimonianza degli immigrati ammette che "forse all'inizio qualcosa non ha funzionato, non tutti hanno dato il massimo, ma stiamo provvedendo", sulla denuncia degli operatori Anniciello liquida così “Facciamo del nostro meglio, abbiamo rispettato le procedure del caso e l’assistenza sanitaria è stata prestata anche grazie alla cortesia degli ospedali tempestivamente. In realtà trattandosi di una selezione aperta su internet purtroppo persone coinvolte sono forse politicizzate e stanno strumentalizzando la vicenda, altre non sono preparate e creano allarmismo, altre ancora siccome non sono state riconfermate sono andate forse in frustrazione”.