Caso Ischia, un altro manager in cella parla con i pm: focus sui rapporti Coop-Pd

Caso Ischia, un altro manager in cella parla con i pm: focus sui rapporti Coop-Pd
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 9 Aprile 2015, 08:48 - Ultimo agg. 10:47
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Ha deciso di rispondere alle domande dei pm, di raccontare la sua versione sui punti che - da almeno dieci giorni - lo vedono ristretto nel carcere di Poggioreale. Dopo Francesco Simone, ex responsabile delle relazioni esterne, c'è un altro dirigente del gruppo Concordia a sottoporsi a un colloquio investigativo. Si chiama Nicola Verrini, nato a Carpi nel 1972, e fino a qualche giorno fa era responsabile commerciale del Consorzio per Lazio, Campania e Sardegna, aree strategiche, almeno a giudicare dagli investimenti in campo energetico varato dal Governo per il sud Italia. Cinque ore, martedì pomeriggio, carcere di Poggiorale. Difeso dal penalista Michele Iasonni, Verrini ha fornito la propria versione in merito ai rapporti tra il presidente della Concordia Casari (in cella dallo scorso 31 marzo) e il mondo politico, in particolare con il Pd. È l'onda lunga di un'inchiesta che punta a verificare eventuali tangenti versate ad amministratori pubblici o a soggetti politici da parte del management del colosso delle coop emiliano. Una vicenda culminata lo scorso 30 marzo negli arresti del sindaco di Ischia Giosi Ferrandino, che avrebbe «asservito la propria funzione agli interessi del gruppo imprenditoriale», in relazione al progetto di metanizzazione dell'isola di Ischia: una storia che oggi potrebbe far registrare nuovi sviluppi, anche alla luce di interrogatori e colloqui investigativi di ex dirigenti del gruppo Concordia.





Ma non è tutto. Agli atti dell'inchiesta napoletana, ci sono anche gli esiti di alcune perquisizioni messe a segno il 30 marzo scorso dai militari del Noe, che hanno consentito di acquisire elementi oggi allo studio dei pm: nel corso della perquisizione a carico del presidente Casari, è stata trovata una busta con dei soldi. Una busta che conteneva 16.700 euro, sulla quale c'era scritto la parola «baffo». Sentito sul punto, Roberto Casari ha fornito la propria versione, nel corso dell'interrogatorio di garanzia. Difeso dai penalisti Luigi Chiappero e Luigi Sena, Casari (che da sempre porta al volto baffi vistosi e incolti, ndr) ha spiegato che si trattava di soldi messi da parte per le esigenze della famiglia, anche in relazione a possibili traversie giudiziarie, per altro annunciate da interrogatori e perquisizioni che si sono susseguite in questi mesi.



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