Luigi Giuliano: «Vivo in Emilia, qui è meglio. A Forcella giovani violenti ma è solo paura»

Luigi Giuliano
Luigi Giuliano
di Giuliana Covella
Venerdì 3 Luglio 2015, 09:52 - Ultimo agg. 10:14
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NAPOLI - «Quello che ha detto mio padre nel libro uscito postumo è oggi più che mai attuale. «”Dietro la violenza che manifestano questi giovani si nasconde la paura”, così scriveva nel suo diario. Sono passati dieci anni dalla sua morte, ma quel messaggio rispecchia purtroppo quanto sta avvenendo ora a Forcella». Sono le parole di Luigi Giuliano, 43 anni e figlio di Nunzio, l'uomo che – oltre ad aver portato addosso per anni il fardello di un cognome pesante – aveva tentato di lasciare alle nuove generazioni un messaggio positivo: no alla violenza criminale e all’illegalità.

«Lo diceva agli studenti del Mercalli in una delle sue ultime apparizioni pubbliche – racconta Luigi, uno dei suoi tre figli, insieme a Vittorio, scomparso prematuramente a 17 anni per una overdose di eroina, e a Gemma, la sorella minore e vanto della famiglia – . Quell'incontro ho potuto vederlo solo in un video su youtube». E il significato di quelle parole profferite davanti ai liceali napoletani hanno lasciato il segno anche in Luigi, che tutti in famiglia, a cominciare dal padre e da mamma Carmela, hanno sempre chiamato Gigino. A meno di ventiquattro ore dall'omicidio di un giovane di 20 anni, Emanuele Sibillo, freddato dai killer con un colpo alla schiena alle due di notte in via Oronzio Costa, l'ex rampollo di Nunzio Giuliano traccia un bilancio crudo e implacabile delle responsabilità dell'attuale «vuoto di potere», come lo definisce lui stesso, che ha portato a questa sanguinosa faida nei vicoli all'ombra di via Duomo.

Mentre è seduto al tavolino di un bar a pochi passi dalla cattedrale del Duomo, insieme alla moglie e al loro cagnolino di razza yorkshire, Luigi sembra quasi un turista. «Ormai viviamo in Emilia Romagna da un bel po' di anni.

Prima avevamo una piadineria. Oggi io e mia moglie gestiamo un negozio di parrucchiere. Lì si vive in un altro modo. La mentalità della gente è diversa. A Napoli ci tornerei, ma solo se cambiassero davvero le cose». Cresciuto nel regno che fu di zio Lovigino, detto appunto 'o rre, di cui porta il nome, il 43enne non rinnega le sue origini. Anche se ammette di aver sbagliato più volte e di aver intrapreso un'inversione di rotta proprio grazie all'esempio del padre: «Ho frequentato la scuola elementare da suor Cecilia, alla Fondazione Ursi in via Annunziata. Quando torno a Napoli talvolta la vado a trovare».

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