Massacro al Vomero, la svolta a 39 anni di distanza

di Giuseppe Crimaldi
Giovedì 28 Agosto 2014, 12:33
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Un delitto senza colpevoli e un letargo durato 40 anni. Nella storia della cronaca nera napoletana la strage di via Caravaggio, commessa il 30 ottobre del 1975, sta a ciò che il delitto di via Poma è per Roma: un mistero rimasto senza colpevoli. Ma ecco il colpo di scena: ad aprile la Procura di Napoli ha formalmente riaperto il caso, delegando alla Polizia Scientifica nuovi accertamenti tecnici, i cui risultati - che si preannunciano clamorosi - sono stati consegnati al pubblico ministero delegato alle indagini, il sostituto Raffaele Tufano.



Trenta ottobre 1975, via Caravaggio 78. In un appartamento al quarto piano di una palazzina che dalla collina di Posillipo degrada verso Fuorigrotta si consuma uno dei più feroci crimini mai commessi a Napoli. Alle 23.30 la vita della famiglia Santangelo viene sconvolta dall’arrivo di chi, di lì a breve, si trasformerà in uno spietato carnefice. E quando - solo otto giorni dopo - in quella casa arriva la polizia, la scoperta sarà agghiacciante. Un’intera famiglia sterminata: Domenico Santangelo, 54 anni, ex capitano di lungo corso della Flotta Lauro; la sua seconda moglie, Gemma Cenname, 50 anni, ostetrica; la figlia 19enne di lui, Angela; il cagnolino che i tre tenevano in casa, Dick, razza Yorkshire. Padre, madre figlia vengono ammazzati ciascuno in stanze diverse dell’abitazione (lo studio per il Santangelo, la cucina per la Cenname, la camera da letto matrimoniale per Angela); l’assassino prima stordisce le vittime con un corpo contundente (mai ritrovato) e poi le massacra sgozzandole con un coltellaccio da cucina; agli agenti della Squadra mobile che scoprono i corpi quell’appartamento apparirà come un mattatoio: c’è sangue ovunque e odore di carne marcita.



I cadaveri di Domenico e di Gemma sono stati trascinati nel bagno e messi l’uno sull’altro nella la vasca del bagno, insieme con il povero Dick: l’assassino ha riempito la vasca con alcuni centimetri d’acqua fredda e poi ha chiuso la porta. Il cadavere di Angela è stato avvolto dentro un lenzuolo e lasciato sul letto matrimoniale. Chi può essere arrivato a tanto? Un fatto è chiaro: a sterminare i Santangelo è stato qualcuno che li conosceva bene, un parente o un amico di famiglia al quale è stata aperta la porta di casa ad un orario improbabile della notte. Nulla è stato rubato o portato via.



Le indagini, coordinate dal pm Italo Ormanni, arrivano a una svolta quattro mesi dopo e culminano nell’arresto di Domenico Zarrelli, 33 anni, nipote della Cenname.
Su di lui convergono alcuni indizi: frequentava casa Santangelo, era di corporatura robusta e presentava degli strani segni puntiformi alle mani. Ma soprattutto, sostiene l’accusa, Mimmo era alla continua ricerca di soldi che gli servivano a fare la bella vita che amava tanto. Nella casa, oltre a impronte di scarpa (numero 42) nel sangue sui pavimenti vennero repertate impronte digitali su una bottiglia di liquore: entrambe incompatibili con quelle dell’arrestato. Zarrelli fu condannato all’ergastolo in primo grado, nel 1978 e definitivamente scagionato il 9 gennaio 1984 in Cassazione con una sentenza di assoluzione con formula piena. Mesi fa la svolta. In seguito a un esposto anonimo la Procura fa riaprire il caso. Ed ora l’esame del dna (40 anni fa inesistente) svolto su un asciugamani intriso di sangue potrebbe finalmente scrivere la parola fine al caso, smascherando l’assassino.