Spaccio a Napoli: la guerra dei babyboss per 20 milioni al mese

Spaccio a Napoli: la guerra dei babyboss per 20 milioni al mese
di Daniela De Crescenzo
Martedì 1 Dicembre 2015, 09:45
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Cento chili di coca da spartirsi ogni mese: è questa la torta che le paranze di giovani e giovanissimi si contendono a colpi di pistola. Una torta che vale, al dettaglio, 19 milioni e mezzo di euro: ma ai guaglioni in lotta ne toccano molti di meno. A conti fatti si spara anche per poche migliaia di euro. È il paradosso della camorra stracciona che infesta le strade mentre i veri boss intascano miliardi e siedono nei salotti. E allora, per capire le stragi, i morti innocenti (un danno collaterale nel sistema mafioso), il terrore, e la ribellione di chi è costretto a vivere nei fortini in guerra, bisogna fare qualche passo indietro, tornare a Scampia e tenere bene i conti.

Tutto comincia nella zona Nord di Napoli quando un rapina tir che si chiama Raffaele Amato decide di investire i suoi già lauti guadagni nell’affare del secolo: il traffico di stupefacenti che secondo l’Eurispes già nel 2007 portava nelle casse della camorra 7230 miliardi all’anno. Ben più di quello che facevano guadagnare gli appalti truccati che nel bilancio della malavita campana valeva «solo» 2582 miliardi. Amato crea una Spa della cocaina di cui è uno dei maggiori azionisti insieme a Paolo Di Lauro che controlla la zona di Secondigliano. Riesce a stabilire un canale diretto con il Sud America: si racconta che sia andato dai narcos e si sia offerto come ostaggio in attesa che da Napoli arrivassero i soldi per pagare la prima grande partita. Alla fine degli anni Novanta il traffico è ormai regolare e i guadagni sono sicuri, ma tra gli imprenditori dello sballo cominciano a nascere contrasti sempre più violenti Per dividersi le partite di roba e i relativi incassi scoppiano la prima e la seconda faida di Scampia.

Nel 2007, battuto ormai l’ex socio Paolo Di Lauro, il gruppo capeggiato da Amato, i cosiddetti scissionisti, fanno arrivare ogni mese almeno duecento chili di cocaina, cento li gestisce direttamente Lelluccio che li devia verso Melito e la provincia, e altri cento finiscono nelle sette piazze della 167: quella dei Puffi governata dal gruppo di Raffaele Stanchi, via Ghisleri (Abete - Notturno), Case Celesti (Marino), Vinella (del gruppo Vanella Grassi), le Vele (Leonardi) e Monterosa (Abbinante). A quel punto, lo provano i libri contabili sequestrati dalla sezione narcotici della Squadra Mobile, un chilo di cocaina viene pagato 5000 euro in Sud America e rivenduto dai grossisti a 42 mila euro. Chi governa la prima mano incassa, dunque, 3 milioni e settecento mila euro dalla compravendita di ogni partita senza ne. Al dettaglio, però, arriva la sostanza tagliata e 100 chili diventano 300 da cui si confezionano le dosi.



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