Napoli, la piccola Irene al Monaldi aspetta un cuore nuovo

Napoli, la piccola Irene al Monaldi aspetta un cuore nuovo
di Maria Pirro
Mercoledì 28 Gennaio 2015, 08:33 - Ultimo agg. 1 Febbraio, 12:22
4 Minuti di Lettura






È la figlia di Scampia che con il suo sguardo chiaro e la sua storia tragica ha commosso l’Italia. Dopo mesi di viaggi della speranza e ritorno, Irene sta in fondo a una camera di rianimazione: gli occhi sono chiusi, ma il suo cuore ha ripreso a battere grazie a una macchina. L’hanno ricoverata d’urgenza all’ospedale Monaldi, da dove la bimba a venti mesi, afflitta da una miocardite, era stata trasferita al Policlinico di Bologna con un volo speciale e con la speranza di cure salvavita.



«Troppo piccola», avevano detto i vertici della sanità regionale, «per seguirla qui». Poi tornata a casa, la bimba è finita in arresto cardiaco ed è invece diventato impossibile raggiungere in tempo la struttura designata, a 500 chilometri di distanza, per gli interventi d’emergenza necessari. L’hanno così salvata i medici partenopei, gli stessi che non avrebbero potuto curarla. Professionisti di livello coordinati dal primario esperto del reparto di cardiochirurgia pediatrica, Giuseppe Caianiello, che afferma: «La soluzione di trasportare la bimba a Bologna s’è rivelata inutile, ma è rimasta irrisolta la carenza di personale in organico che aveva spinto a quella scelta».



È il 17 settembre 2014, quando la bambina di 20 mesi viene trasportata al Sant’Orsola, nel capoluogo emiliano, non senza code polemiche. «Una scelta di responsabilità e competenza» la definisce Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti. Eppure, la cardiochirurgia del Monaldi è da sempre punto di riferimento per piccoli ammalati di tutto Mezzogiorno. «Resta un punto di eccellenza, il problema è che il personale è ridotto a due medici specialisti, me compreso» puntualizza il primario.



Così la bimba resta ricoverata al Policlinico di Bologna per due mesi, sostenuta anche dalla generosità di tanti cittadini che aderiscono alla campagna di solidarietà rilanciata attraverso “Il Mattino”. «Dimessa dal reparto, ci viene dato gratuitamente un alloggio in zona per altri 30 giorni. Fino al 22 dicembre, quando gli stessi medici ci dicono di poter tornare a Scampia» racconta Titina del Medico. La nonna aggiunge il seguito: «Andiamo al Sant’Orsola per la visita di controllo il 15 gennaio e rientriamo a casa la sera stessa, in treno». Ma, giorni dopo, la bimba ha un malore e non resta che chiedere aiuto al centro specializzato più vicino, il Monaldi. «In ospedale la piccola arriva con il cuore fermo» interviene Caianiello. «I colleghi riescono a rianimarla, e questo dimostra grande capacità e competenza». Il primario cita con orgoglio la squadra: «Gabriella Farina, che è l’altro cardiochirurgo rimasto nel reparto, il medico di guardia Salvatore Virno, e soprattutto Andrea Petraio, al lavoro nel reparto dedicato agli adulti ma grande esperto nel settore pediatrico, impegnato in tutti questi giorni a sopperire alle carenze di personale in organico che si spera siano subito colmate per tutti i bambini seguiti nella struttura. In emergenza c’è anche una bimba di 12 anni».



Irene oggi è tenuta in vita grazie a un cuore artificiale, il cosiddetto berlin heart, in attesa di un cuore vero. «Unica speranza è il trapianto, possibile con un gesto di amore di un’altra famiglia colpita dal dolore» dice mamma Arianna, ma sin dal principio di questa storia la solidarietà è apparsa decisiva. «Ci hanno aiutato tanti cittadini, che ringraziamo» dice Titina del Medico, nel mostrare disegni e lettere ricevute. Le più toccanti da un detenuto di Benevento. Alcune con quest’incipit: «Cara Irene, capisco che sei ancora piccola per leggere...». A scrivere è Michele C.: «Ho notato su “Il Mattino” la tua foto e la cosa che più mi ha commosso è vederti sorridere con quella forza e gioia di vivere che hai dentro, ed è giusto che sia così... Al di là di chi è colpevole o innocente, siamo persone di sentimento...»



«Ci hanno mandato denaro e lettere persino dal carcere, a differenza delle istituzioni che non ci hanno ancora teso una mano».
La nonna della bimba chiude i pugni sul viso, nell’abitazione al pianterreno lotto G: attorno, soltanto umidità e crepe. «Irene è come se fosse mia figlia, più che mia nipote perché i genitori hanno soltanto diciotto anni. Tutti insieme viviamo qui e speriamo in un futuro migliore» confida Titina prima di tornare in ospedale. Sul tavolo restano i biglietti ricevuti in questi mesi di buio e sofferenza. «Quello che voglio dirti, mia cara Irene, è di non mollare - scrive ancora Michele C. dalla sua cella -: sii forte». Calamita di sguardi e pensieri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA