Napoli. Il codice Scampia: manette e t-shirt con i divi dei film

Napoli. Il codice Scampia: manette e t-shirt con i divi dei film
Martedì 4 Febbraio 2014, 11:01 - Ultimo agg. 22 Ottobre, 16:35
3 Minuti di Lettura
Mariano Riccio, latitante arrestato oggi a Qualiano, indossava una maglietta con l'immagine del divo Marlon Brando. Il fenomeno è consolidato. Tanto che già nello scorso settembre, i piccoli boss arrestati uscivano "in divisa" dalla caserma. Come raccontato da questo pezzo del settembre 2012.



Il «walk of fame» di Scampia si aggiorna. I miti dei killer (veri, presunti, la giustizia ci dirà) cambiano e gli uomini dei clan li espongono sulle t-shirt. Eccoli uscire, quindi, dal portone della caserma Pastrengo di Napoli, bersagliati dagli scatti dei fotografi, come in una sfilata di moda, autunno-inverno della camorra.



È il braccio armato e tatuato della faida che espone le proprie passioni, anche quando i carabinieri li tirano giù dal letto all’alba. I girati, presi di faccia, citano Al Pacino , Steve McQueen, James Dean e Kylie Minogue, oltre al tifo (o perlomeno la simpatia) per Milan e Germania e l’accanimento per brand sportivi di largo consumo. A ben guardarli (sarà per la levataccia) non hanno le mises che si immagina, avendo inquadrato facce simili nelle file davanti alle boutique più griffate.



Sarà una divisa da portare con sé in galera? Un modo per lanciare messaggi, segnare appartenenze, suggerire intrecci? E chi lo sa. In questi casi a pensare male non si commette neanche peccato. Se ne potrebbe ricavare, invece, una fenomenologia muscolare e persino un po’ blasé, datata, via, ma comunque pompata con gli estrogeni di miti del passato. Giusto la Minogue, in sottoveste e calze autoreggenti, potrebbe salvarsi dalla polvere di stelle, ma anche lei pare citare, con posa cinematograficamente improponibile, la Brigitte Bardot da «Dio creò la donna».



In ogni caso è pura merce: trattasi di maglietta di Dolce&Gabbana, attualmente acquistabile in Rete al prezzo stracciato di 55 sterline (una settantina di euro): è in saldi, ne costava il doppio. La regina del pop, nei gusti esibiti della camorra a mano armata, è affiancata da divi hollywoodiani che potrebbero appartenere a una mezza dozzina di generazioni malavitose fa. James Dean era contemporaneo di Pupetta Maresca e Pascalone ’e Nola. Anni Cinquanta, insomma, ma americana, con tutto lo strascico di gioventù bruciata (più bruciati di loro!). E che dire di Steve McQueen, citato dai «girati» in modo più spericolato di quanto poteva cantarlo Vasco Rossi, ripreso da «Le 24 ore di Le Mans», nei panni di Michael Delaney con la tuta bianca usata per guidare una Gulf Porsche. Ma il tocco spiazzante è nella conferma di Al Pacino .



Non è il divo che fa Scarface, star per Casalesi con le mega-ville pacchiane di chi ha confuso Casapesenna con Miami. Basta squarcionate da cocainomani cubani, il mito è il businessman criminale, spietato e impeccabile della saga del «Padrino», è Michael Corleone. Faccia pulita da colletto bianco, perfettamente mimetizzabile e spendibile in Borsa. Perché a sfogliare l’album, mettendo tra parentesi i profili di chi esibisce questi simboli e la possibilità non remota di una pura casualità nelle scelte, si intuisce che è in corso una mutazione antropologica, a suo modo un’evoluzione. Lo stesso Al Pacino , ma soprattutto Steve McQueen, James Dean e, più di tutti, Kylie Minogue, sono idoli normalizzati, appagati, dove la ribellione s’è fatta leggenda e quindi è stata disinnescata, almeno nell’uso e consumo degli aggregati acculturati e piccolo-borghesi.



Ma l’abuso che ne fa questa nuova genìa di delinquenti ne svela la doppia natura, l’ambiguità di fondo: i divi stampati sul cotone gridano al mondo che l’omologazione non c’è solo nel consumo della cocaina (loro la vendono, i figli di Posillipo la comprano per sniffarla sotto i poster con le facce delle medesime star), che non sono uniti solo dalla compravendita della droga, a anche c’è un Olimpo pop condiviso, ridotto a terra di nessuno. Trattasi comunque di killer (veri, presunti, la giustizia ci dirà) che, a differenza della passata generazione di camorristi non espone look da geni del male come Cosimo Di Lauro faceva con il Corvo. Né tanto meno sente il bisogno di citare pubblicamente il Ben Gazzara del «Camorrista» di Tornatore (con il tormentone del Malacarne): sono stati archiviati nel faldone delle parodie in disuso? Chissà, anche la camorra ha la sua semiologia, forse inconsapevole, forse cifrata, però sempre capace di confondersi nelle acque grigie della palude metropolitana.