Coppia uccisa, indagato un militare napoletano: amico di una delle vittime

Coppia uccisa, indagato un militare napoletano: amico di una delle vittime
di Claudia Guasco
Sabato 26 Settembre 2015, 08:11 - Ultimo agg. 08:29
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MILANO. L'inchiesta è arrivata fino in Svizzera e Slovenia: lui frequentava la palestra di un amico a Lugano, lei si esibiva come ragazza immagine in alcuni locali di Nova Gorica. Ma la pista era molto più vicina, addirittura dietro l'angolo.



A essere iscritto nel registro degli indagati per l'omicidio di Trifone Ragone e Teresa Costanza - giovani, belli e innamorati, rispettivamente di 28 e 30 anni, freddati il 17 marzo con sei colpi di una vecchia Beretta 7,65 nell'auto parcheggiata accanto al palazzetto dello sport di Pordenone - è un ex coinquilino del militare ucciso. È Giosuè Ruotolo, 26 anni, commilitone di Somma Vesuviana. «Per la sera e l'ora del delitto non ha un alibi», dicono gli investigatori. Trifone, prima di innamorarsi di Teresa e andare a vivere con lei nel condominio di via Chioggia, abitava in un residence in una zona centrale di Pordenone. Lì facevano base anche altri militari e tra questi c'era Ruotolo, ripetutamente ascoltato dagli inquirenti. «Dove mi trovavo la sera in cui hanno sparato a Trifone e a Costanza? A casa, da solo nel mio appartamento», ha ripetuto.



Quindi a una manciata di minuti a piedi dal palazzetto dello sport e a qualche metro in più dal laghetto dal quale i sommozzatori dei carabinieri hanno ripescato il caricatore della pistola che potrebbe essere stata usata dal killer. «Recuperarlo è stato decisivo», afferma il procuratore capo di Pordenone Marco Martani (in foto in basso). Ma come si è arrivati a chiudere il cerchio proprio attorno al militare campano, a cui non è stato ritirato il passaporto e da quando è indagato se ne è andato da Pordenone? «Con tradizionali strumenti di indagine», spiega Martani. E cioè: tabulati, telecamere e testimoni. Quando il 19 settembre scorso hanno cominciato a scandagliare il lago del parco di San Valentino, gli investigatori andavano sul sicuro: se dalle acque fosse spuntata l'arma del delitto, avrebbero avuto la conferma che la traccia seguita era quella giusta. Il caricatore compatibile con la vetusta Beretta 7,65 utilizzata per l'agguato al caporalmaggiore e alla fidanzata ha fornito la risposta che si cercava.



All'interno dell'auto della coppia inoltre sarebbero stati trovati dei capelli, il killer avrebbe esploso i colpi da una distanza così ravvicinata da spingerlo a introdursi nell'abitacolo, lasciando così tracce preziose. Peraltro le uniche. Quanto al movente, le ipotesi sono le più disparate e nessuna esclusa, complice anche il fatto che una delle vittime e il presunto assassino si conoscevano da tempo e si frequentavano abitualmente. La coabitazione si era conclusa quando Trifone andò a convivere con Teresa in un mini appartamento alla prima periferia della città. Dal delitto passionale allo screzio degenerato, da antichi rancori a questioni di denaro e prestiti magari non restituiti, fino ad una banale lite: per gli inquirenti ogni scenario è possibile. «Stiamo lavorando sul movente», dicono gli investigatori.



Quella sera l'assassino si è mosso nel buio parcheggio della palestra con mosse rapide e una lucidità tale che in tanti hanno pensato a un professionista. Nessuna impronta né firma involontaria. Chi usciva dalla palestra non ha visto nulla e ha scambiato gli spari per petardi. L'assassino ha scaricato quasi completamente il caricatore contro la coppia, voleva essere sicuro di uccidere e lo ha fatto dimostrando sicurezza e abilità nel maneggiare la pistola. Una Beretta realizzata prima della Seconda Guerra mondiale, un ferro vecchio che in molti hanno definito la «pistola del nonno». «Così antiquata che avrebbe potuto incepparsi», rileva il procuratore capo. Purtroppo non è stato così.