Il dato choc: «Ogni notte cento napoletani cercano bambini per fare sesso a pagamento»

Il dato choc: «Ogni notte cento napoletani cercano bambini per fare sesso a pagamento»
di Paolo Barbuto
Venerdì 9 Gennaio 2015, 20:03 - Ultimo agg. 20:09
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Succede durante i turni di notte, generalmente, però quella volta era pieno giorno, un’assurdità: «L’orco nell’auto, seminudo, ansimava su una bambina. Intorno passavano tante auto, era l’ora del pranzo. Lui aveva chiesto un’ora di permesso dal lavoro.

Doveva andare in ospedale dalla figlia ricoverata che aveva la stessa età della bambina che aveva preso in strada...».



Gli uomini e le donne dell’unità operativa tutela minori della polizia municipale ti accolgono con un sorriso, ma quel sorriso è triste, ha un velo indelebile: si occupano dei più piccoli e quei «piccoli» li trovano sempre più spesso in strada, offerti al mercato della prostituzione.



L’incontro per approfondire il tema è nello studio del capitano Pagnano che è una donna, una mamma. Lei racconta con rabbia e disagio il degrado con il quale è costretto a confrontarsi ogni giorno il suo gruppo di lavoro, alle prese con bambini e bambine che finiscono nelle mani di uomini perversi: «Ogni notte, ogni maledetta notte, ci sono almeno cento napoletani che si mettono in cerca di minorenni per avere rapporti sessuali. Forse sono di più, anzi sicuramente sono di più».



Le prime parole sono un pugno piantato al centro dello stomaco: tu pensi di vivere in una città evoluta, certo difficile da affrontare e alle prese con problemi grandi, ma sapere che a Napoli tutte le notti di tutte le settimane di ogni mese di ogni anno, ci sono cento uomini che cercano sesso con i minori, è roba da far venire i brividi, anzi i conati. Scusi, capitano, lei è sicura di ciò che dice? Non è che il numero è riferito a un intero anno? Sabina Pagnano ha un moto di stizza: «Ogni notte, ogni notte». L’incontro ha inizio e i racconti sono subito terribili, raccapriccianti. E nella stanza del capitano, pian piano fa capolino una persona, poi un’altra: eccolo il gruppo che lotta contro i pervertiti; hanno volti da persone perbene e una delicatezza nell’affrontare il tema che nell’interlocutore suscita tenerezza.



Ognuno desidera portare la propria esperienza perché raccontare, forse, serve ad alleggerire il peso di troppo dolore. Alla fine il taccuino è talmente pieno di orrore che ti verrebbe voglia di scagliarlo via, lontano. Come si fa a raccontare uno schifo del genere? Il grande gruppo che è radunato intorno alla scrivania del capitano ha un sussulto: «Raccontare è l’unica maniera per vincere. Il silenzio protegge i pervertiti». Raccontiamo, allora. Seguendo le parole del capitano Pagnano che si confronta con il comandante Ciro Esposito e poi, mentre parla, guarda spesso il suo gruppo per chiedere conforto e conferma: «Una mattina, all’alba, rientravamo dal servizio notturno e abbiamo notato un tizio ben vestito, in avanti con gli anni, che passava su un ciclomotore: seduto dietro di lui un ragazzino giovanissimo. Poi abbiamo scoperto che aveva 14 anni», il racconto prosegue mentre la tensione aumenta: «Si sono fermati a un bar. L’uomo aveva atteggiamenti esagerati, lo accarezzava, lo abbracciava, lo baciava.



Abbiamo deciso di vederci chiaro e li abbiamo fermati: quel tizio era ubriaco e non indossava gli slip sotto il pantalone, il ragazzino evidentemente aveva trascorso la notte con lui ma non siamo riusciti a dimostrarlo. Alla fine abbiamo riconsegnato il ragazzino alla famiglia che non s’era nemmeno preoccupata per l’assenza notturna del piccolo, però la vicenda l’abbiamo segnalata ai servizi sociali. E abbiamo lasciato andare quel tizio. Ma secondo lei da dove veniva uno senza mutande all’alba con un quattordicenne sul ciclomotore?». Ecco, il racconto della «sconfitta» è quello che fa più male.



Questi uomini e queste donne vorrebbero vincere ogni battaglia, non consentire mai più che accadano certe cose. Invece le sconfitte arrivano e fanno ancora più male perché «ti ricordi gli occhi di quel ragazzino?», dice una delle donne del gruppo di tutela dei minori. Seguono racconti «di strada», quasi tutti con bambini stranieri protagonisti: «Sa qual è la cosa che ci colpisce di più? Che per i piccoli maschi di etnia rom le molestie non hanno valore: loro sono certi di non fare nulla di male quando hanno rapporti che non prevedono la penetrazione. Non si sentono ”sporchi” né si vergognano se gli uomini li molestano in qualunque altra maniera».



Poi c’è il dramma delle nigeriane: «Queste ragazzine le troviamo nella zona di Fuorigrotta. Sono la nostra disperazione perché non riusciamo mai a stabilire la loro età: anche gli esami specifici danno sempre esiti vaghi: loro giurano di essere maggiorenni, dopo qualche tempo arriva un presunto parente con un documento nel quale è spiegato che non sono minori, Ma a noi resta sempre il dubbio». Le parole sono spesso interrotte da approfondimenti, da altri racconti, altre esperienze. Certe volte l’emozione prende il sopravvento e diventa difficile approfondire caso per caso. Qui, invece, bisogna mantenere freddezza: per capire quanto fa schifo questo mondo di uomini che cercano minori per fare sesso, non bisogna sentirsi coinvolti.



Eccovi, allora, nella maniera più «fredda» possibile, il quadro del degrado e della vergogna. Innanzitutto l’identikit di chi cerca sesso con un minore: «Sono tutti padri di famiglia - spiegano gli agenti - tutti, nessuno escluso. Ogni persona che abbiamo bloccato con un minorenne aveva moglie e figli, spesso della stessa età del ragazzino o della ragazzina con la quale stava contrattando». Il ceto sociale non è mai basso: «Quelli che vanno con le prostitute provengono dalle più disparate estrazioni sociali. Chi cerca i bambini, i ragazzini, invece, viene invariabilmente dalla borghesia medio alta: sono professionisti spesso anche noti nel loro ambiente». Poi c’è anche chi si «accontenta» di un surrogato: «Molti quando non trovano minori con i quali consumare un rapporto si rivolgono alle prostitute orientali, vuol sapere perché? Perché sono meno formose, assomigliano di più alle piccoline».



I racconti si susseguono senza dare tregua. I ragazzini, chi sono? Perché lo fanno? «Sono maschi e femmine. Quelli più grandi, intorno ai diciassette anni, utilizzano le stesse tecniche delle prostitute, stanno in strada e si offrono, spesso fidando sul fatto di avere caratteristiche fisiche già da adulti». Per i più piccoli, dodici, tredici anni, invece c’è maggiore riserbo. Si nascondono, vengono prelevati in luoghi più ”sicuri” dai pervertiti che dovranno approfittarne, si accontentano di 15-20 euro, non contrattano. «In maggioranza si tratta di minori di etnia rom, ma c’è una parte di italiani sempre più preponderante. La cosa che sconvolge maggiormente chi si avvicina a queste piccole vittime è l’assoluta inconsapevolezza di ciò che accade. Non si rendono conto della gravità. Pensano che sia una maniera per guadagnare soldi facilmente e, soprattutto, non sono disperati - spiega il capitano Pagnano - lo fanno per comprarsi vestiti o cellulari, non perché hanno fame». Infine un focus sulle famiglie di provenienza dei piccoli che si prostituiscono: «Sono tutte famiglie ”distratte”, molto spesso di basso ceto sociale. Con genitori che lavorano o sono sempre fuori casa e che non si accorgono delle lunghe assenze né degli acquisti esagerati dei loro figli».
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