Napoli. La storia di Sasi: una vita da scalare senza le gambe

Sasi ed i suoi gemelli (newfotosud Renato Esposito)
Sasi ed i suoi gemelli (newfotosud Renato Esposito)
di Chiara Graziani
Mercoledì 19 Novembre 2014, 18:37 - Ultimo agg. 20 Novembre, 09:51
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A settanta minuti di vita Sasi ne aveva già passati venti in corsa tra due ospedali: è il secondo dei tre gemelli di Patrizia Grosso, camiciaia, che li ha partoriti il 27 marzo 2001 col cesareo al policlinico per sentirsi dire che per i tre piccoli - una nidiata prematura da quattro chili in tutto - non c’era posto e che dovevano essere mandati al Monaldi.

E allora corri Sasi, corri. L’hanno infilato con i fratellini nella culletta da viaggio per prematuri - mille e trecento grammi di bambino - assieme a Pio, un chilo e sessanta grammi, e Tina un chilo e 400 - ricreando il sodalizio dei sette mesi di gestazione appena interrotto dal bisturi del chirurgo.

Sasi corre, sballottato fra Pio e Tina, tre bambini di vetro leggeri come piume: lui è intubato e l’ambulanza corre. Quando la porta dell’ambulanza si apre - sono le 22, 10 - qualcuno impreca. Tutti corrono. Uno constata e poi scrive: «Estubazione accidentale». Capitolo chiuso. Per Sasi l’odissea, invece, è avviata. Si intitolerà: «Gravi esiti di paralisi cerebrale infantile con tetraparesi spastica».

Il bambino da mille e trecento grammi è rimasto «accidentalmente» estubato mentre l’ambulanza correva tallonata dall’auto del papà, Domenico Miano, tappezziere alla Sanità. Da quella corsa sono passati 13 anni ed un’emorragia cerebrale al quinto giorno di vita. E la vita di Sasi, ogni giorno, è andata più lenta sotto il carico di pesi sempre nuovi e spesso evitabili. L’ultimo dei quali è quasi uno sberleffo se non avesse l’aggravante di essere stato imposto con zelo inconsapevole.

Dopo tre operazioni alle anche, alle ginocchia, ai piedi - per arrivare al minimo di stabilità necessaria a fare la fisioterapia - alla asl 1 non gli firmano la richiesta per essere portato con il pulmino a fare i trattamenti riabilitativi che gli servono come l’aria. In tredici anni mamma Patrizia ha perso prima il lavoro da camiciaia, poi quello da addetta delle pulizie; papà Domenico fa sempre il tappezziere ma quando e come può. La casa alla Sanità, quella di proprietà, comprata con un mutuo ai tempi del lavoro sicuro, c’è sempre. Ma Sasi, con Pio e Tina, non ci può più vivere. Non c’è l’ascensore e non c’è stato verso di farlo mettere.

Così i Miano hanno affittato un altro appartamento al primo piano a corso Amedeo di Savoia: 900 euro al mese. Senza scampare, neppure così, la maledizione delle scale.

Per accedere all’ascensore ci sono cinque scalini. Fateli voi due volte al giorno con un ragazzo che pesa ormai 50 chili su una sedia a rotelle. E Sasi non sopporta di essere un peso. Quelle scale lo fanno piangere, la sola ribellione che gli è rimasta possibile e che esercita in libertà: a casa, a scuola, dal medico. Salvatore Miano, semplicemente, non sopporta più di essere considerato un pacco da ogni istituzione, a partire dal condominio, che non sia la sua amorevolissima famiglia.

Un invalido - vero - non gode delle stesse attenzioni mediatiche del mitico invalido falso che tanto piace a noi giornalisti. Un ragazzino semiparalizzato, la cui madre non ha la patente e sempre meno forze, che ha altri due gemelli con problemi seri, non ha abbastanza titoli per essere preso a domicilio con un pulmino per fare le terapie per lui essenziali come respirare.

Pio, che è stato con lui nella pancia in un unico sacco, mentre Tina cresceva per fatti suoi, osserva il mondo in silenzio. La psicoterapeuta che lo segue dice che qualche cosa lo opprime, un trauma subito all’epoca dell’asilo e che lo induce a rifiutare la scuola e le relazioni. Un segreto che non vuol dire a nessuno. E Tina non può restare sola, si cura per epilessia.

Le foto dei tre piccoli Miano, ai tempi della casa della Sanità, del lavoro da camiciaia, del babbo tappezziere non per caso, parlano di tre bambini che potevano crescere con meno carichi inutili sulle spalle. Quelle foto ed un video ve li facciamo vedere, autorizzati, su ilmattino.it senza la mascherina elettronica, d’ordinanza e tanto corretta. Forse è il caso che torniamo a guardare i bambini che lasciamo indietro in fondo agli occhi.