Budget esauriti, sanità nel caos
«L'offerta pubblica va riequlibrata»

Budget esauriti, sanità nel caos «L'offerta pubblica va riequlibrata»
di Maria Pirro
Lunedì 31 Agosto 2015, 19:52 - Ultimo agg. 20:00
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«È chiaro che il sistema così non funziona»: interviene Silvestro Scotti, presidente dell'Ordine dei medici di Napoli.

Se il privato si ferma, il pubblico arranca.

«Nel corso degli anni, il pubblico ha dismesso parte delle attività a causa dei tagli ai fondi e del blocco del turn-over. Il risultato è che il sistema non regge, quando il privato blocca le prestazioni».

Tutta colpa della spending review nazionale o del piano di rientro dal deficit della sanità campana?

«Certo che no. Manca anzitutto un coordinamento nell'offerta, non c'è equilibrio tra pubblico e privato».

Conseguenza: ogni anno, con sempre maggiore anticipo, scatta l'allarme per i tetti di spesa sforati dai centri privati. La storia non insegna?

«Non si può scoprire il problema ogni anno dopo che è già esploso.

L'andamento del budget va controllato di mese in mese. Anche perché ci sono tutti gli strumenti per analizzare la spesa e intervenire: oggi la ricetta e i report telematici sono immediatamente trasmessi dal medico di famiglia alla pubblica amministrazione. Ma serve anche maggiore senso di responsabilità da parte dei privati e di tutti gli attori, soprattutto nell'induzione delle prestazioni. Accade che un medico faccia ripetere al paziente accertamenti già richiesti da un collega».

La sanità in Campania è al collasso?

«Il problema principale è la radioterapia perché a fronte di una richiesta determinata di pazienti, che dovrebbe essere conosciuta in termini di numeri e prestazioni più o meno standard, si è arrivati a sforare i tetti di spesa. Ciò significa che non c'è concorrenza tra i due sistemi, pubblico e privato, ma complementarietà, e che anche in questo settore, tanto delicato, nessuno analizza con la dovuta attenzione e celerità i dati sulle prestazioni erogate e disponibili in tempo reale».

Ci sono centri privati che, per conto delle Asl, lavorano anche più delle strutture ospedaliere.

«Questo accade anche per prestazioni di base. L'80 per cento delle analisi viene eseguito anche dai miei pazienti nei laboratori convenzionati ma il medico non può influire sulle loro scelte».

Qual è il motivo del sorpasso?

«C'è un senso di sfiducia nelle prestazioni rese dalla struttura pubblica, ma anche una rete meno articolata sul territorio. A Bagnoli, dove lavoro come medico di famiglia, i prelievi si possono eseguire solo raggiungendo il distretto in via Winspeare o all'ospedale San Paolo a Fuorigrotta: da tempo ha chiuso la struttura nel quartiere. Invece, i laboratori privati in convenzione sono numerosi. Ecco perché va riequilibrato il sistema».

Come?

«In altre città italiane un centro prelievi del distretto sanitario pubblico è presente addirittura negli studi aggregati dei medici di famiglia. Occorre rimodulare l'offerta di servizi, adeguandola ai bisogni reali della prossimità di cura».

Ma ci sono evidenti resistenze.

«Sia nel pubblico che nel privato. È chiaro che un sistema pubblico statico, che non incentiva la produttività, e un sistema privato, teso alla concorrenza sulle prestazioni e non su obiettivi di cura e assistenza, sono le basi dell'attuale fallimento. Serve una svolta per la sopravvivenza del sistema sanitario pubblico e del privato accreditato per come lo conosciamo: nell'interesse di tutti».

Con la nuova normativa sulle prescrizioni diagnostiche, si va verso una stretta ulteriore?

«Il provvedimento sta creando i presupposti perché alcune indagini siano indicate solo in specifiche condizioni e quando una malattia è accertata e potenzialmente già conclamata. Ma così si rischia di spingere il medico a non prescrivere accertamenti anche in presenza di sospetti, solo per evitare l'accusa di inappropriatezza. Anticipare una diagnosi o ridurre la prevenzione primaria delle malattie croniche è un finto risparmio che forse garantisce l'oggi ma sicuramente complica il domani».

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