Saviano: «Chi attacca la fiction Gomorra vuole autoassolversi»

Saviano: «Chi attacca la fiction Gomorra vuole autoassolversi»
di Stefano Piedimonte
Domenica 9 Agosto 2015, 09:35 - Ultimo agg. 09:42
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Caro Roberto Saviano, dovresti smetterla, sai? Ogni volta che fai un libro o una serie tv succede un macello. Su «Il Mattino», prima con Pietro Treccagnoli, poi con Maurizio de Giovanni, si parla degli effetti di Gomorra fiction sulla faida di Forcella. De Giovanni ti difende, ma qualcuno fra gli amministratori pubblici dice hai delle colpe. Se i giovani teppisti si fanno la cresta al centro del cranio e parlano come Genny Savastano, di chi è la colpa? Tua! Quindi non ti meravigliare se poi i sindaci ti vietano di girare le riprese in certi Comuni. Li infangheresti e invoglieresti i ragazzi a sparare per strada.



«Sono d’accordo. Vietiamo ”Medea”, allora. Nelle università, nelle scuole, dappertutto. Altrimenti le donne, quando vengono lasciate dai propri uomini, possono prendere ispirazione dalla tragedia e scannare i loro figli. E poi andiamo avanti con la Bibbia, il Corano, che pure esprimono molta violenza. Dai, non scherziamo. Rendersi conto che a Napoli, ma anche nel resto d’Italia, siamo a questo, è veramente doloroso. Credere che l’arte possa essere responsabile dello sconquasso di certe zone...»



Sai cosa mi preoccupa? Questo buonismo ipocrita è la vera questione morale italiana: nasce nei salotti e dilaga nel sistema educativo. Finisce per traboccare nelle scuole. Proporre dei modelli artisitici ”educativi”, pedagogici, toglie ai ragazzi il piacere di scoprire la lettura e li azzoppa nelle capacità critiche. È una vera e propria controcultura...



«L’artista è responsabile di ciò che racconta, nessun dubbio su questo: la funzione pedagogica dell’arte può esistere, ma questa pedagogia non segue un meccanismo così semplicistico, non è che se io racconto di un killer, chi legge uccide, o se io, al contrario, racconto di Francesco d’Assisi, chi legge diventa santo. In questo caso sarebbe semplice: facciamo così tante serie tv in Italia di una bontà banale e scontata che avremmo un paese di buoni, simpatici e onesti».



Sto progettando con un grosso network una serie tratta dal mio primo romanzo. La cosa mi entusiasma e mi inquieta. Non voglio prendere schiaffi tutti i giorni come te. Vorrei condurre un'esistenza tranquilla, vita permettendo.





«Aspettati il peggio... Arriveranno le bastonate anche per te».



Vado in palestra tutti i giorni...





«Non ci si rende conto, in Italia, che stiamo sfuggendo a un dibattito importantissimo, alla possibilità di vedere quanto queste opere siano in grado di raccontare le dinamiche reali della società, di farsene interpreti. Esempio napoletano: la ”paranza” di bambini che utilizza secondo alcuni il modello Gomorra. Non è Gomorra ad aver generato loro, ma sono loro che si trovano in quella realtà sempre più degradante, sempre più violenta, e siccome l’opera ne ha sviscerato gli aspetti più intimi e profondi, è all’opera che fanno riferimento. Recentemente, una ragazza in Francia ha smaltito un cadavere come avveniva in ”Breaking Bad”, ma non è che ”Breaking Bad” abbia fatto uccidere: la serie ha raccontato quella violenza legata al narcotraffico, e loro in quella violenza si sono ritrovati. Io non mi voglio sottrarre a nessuna responsabilità, ma se qualcuno mi dice: ”Quel ragazzino usa proprio quel metodo, quell’espressione di ”Gomorra”, e questo significa che tu l’hai imbeccato”, rispondo: no, significa che la violenza di cui racconto è vera. Chiaro, ci sono le interpretazioni che ognuno dà dell’opera. L’opera è qualcosa di vivo, che respira, non è un monolite che un autore lancia sulla testa di qualcuno aprendola in due. L'opera è in continua dialettica col quotidiano. Dietro questi attacchi c’è una grande furbizia: quella di attaccare le serie tv o i libri, autoassolvendosi. Visto che non l’ho fatto io, che non l'ho raccontato io, o almeno non in quel modo, allora mi sento in colpa e do la responsabiltà all’opera».



Ma poi, vogliamo parlare della questione più tecnica? Sembra banale, però ai più sfugge. Se io, nella mia serie, o nel mio libro, parlo di una Fiat guidata da un camorrista o di un vestito di Gucci indossato da un serial killer, non devo chiedere autorizzazioni a Fiat né a Gucci. Mi sembra scontato. Forse alcuni amministratori locali non sanno che posso filmare a Baltimora e dire che è Ponticelli, e nessuno potrà mai alzare un dito. La chiamerò comunque Ponticelli. Che senso ha questo martirio delle autorizzazioni? Autorizzazioni a cosa?





«È vero, è una questione interessantissima. Queste ”autorizzazioni a girare” non sono autorizzazioni a parlare del territorio. Praticamente, vietano la possibilità - che il Comune deve darti - di riprendere il Comune stesso, per esempio, o una piazza, ma ovviamente io posso benissimo parlare di Afragola, Acerra, Secondigliano, anche se il Comune non mi autorizza a girare lì. Perché fanno la fila a non autorizzare le riprese? Perché così fingono di difendere il proprio territorio. Non si rendono conto che tu lo difendi non impedendone il racconto, ma trasformandolo. Cosa credono di fare, di salvare il proprio territorio dal racconto della realtà? Allora New York dovrebbe bloccare immediatamente Scorsese. Sta per uscire una nuova serie, ”Vinyl”, parla di una NY piena di droga e di sesso estremo, culla del rock ’n roll. Dobbiamo bloccarla? Significa diffamare Manhattan? Che idiozia».



È un vizio tutto nostro. Soffriamo di un provincialismo raccapricciante.



«Vogliono far passare il messaggio: noi non vi lasciamo girare perché Afragola è un’altra cosa. Ma intervieni, dico io! Là dove puoi intervenire, rimboccati le maniche e lavora, ché tutto quel territorio sta diventando, se proprio vogliamo dirlo, l’erede del potere criminale andato via dalle piazze di Scampia».



Lanciare proclami è facile, ti fa andare in tv e porta voti. Di che stiamo parlando? Gli scrittori, un po’ come i giornalisti, dovrebbero rappresentare una controparte a un certo potere costituito: raccontare, essere onesti, onesti perfino nella finzione. Sembra un paradosso, però... credo che sia così. Sto pensando a de Magistris che interviene a Radio Marte, alle parole così tranchant spese su di te e sulla serie...



«De Magistris che mi invita a raccontare le cose belle di Napoli, sì, l’ha fatto più volte. Che cosa assurda. È un invito che trovo di un’ingenuità incredibile. Io parlo spessissimo delle meraviglie di Napoli, dopodiché: il Maschio Angioino, Caravaggio, il Golfo di Napoli, sono forse merito dell’amministrazione comunale? Iniziamo a parlare delle cose di cui abbiamo merito. È molto più difficile trovarne, no? A Napoli è difficilissimo raccontare di qualcosa che sia merito della politica».
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