La strage di via Caravaggio 39 anni dopo. Tra verità nascoste e presunti depistaggi, colpi di scena e verdetti contraddittori, torna alla ribalta quella che fu un'indagine complessa e delicata: l'inchiesta sul massacro di tre persone e un cagnolino, l'episodio che scosse l'opinione pubblica napoletana. Ma i fantasmi, come gli incubi, spesso ritornano. Ed ecco riaffiorare dalle nebbie di un passato che molti credevano ormai rimosso quelgi spettri. Eppure su quella mattanza tanto si è scritto. Alla ricerca di quel «mostro» che ancora oggi resta senza nome né volto, c'è anche chi si è a lungo soffermato sui punti oscuri di tutta la vicenda. Proviamo a ripercorrerli, ancora una volta, oggi, anche alla luce degli ultimi sviluppi investigativi, culminati nella riapertura del caso e della ricerca del dna su alcuni reperti ormai ingialliti dal tempo.
Gli anonimi. Un primo esposto - datato 9 ottobre 2011 - induce la Procura di Napoli a riaprire il caso.
L'agenda di Angela. Quando morì, Angela - figlia di Domenico Santangelo, che poi aveva sposato in seconde nozze Gemma Cenname - aveva solo 19 anni. Era una ragazza solare. Non aveva nemici, tutti le volevano bene. Eppure il secondo anonimo sostiene che la strage perpetrata il 30 ottobre 1975 sarebbe stata originata proprio dalle attenzioni morbose di un uomo di 20 anni più grande di lei - noto professionista appartenente a una importante famiglia napoletana - dal quale la povera ragazza sarebbe rimasta incinta. Circostanza questa però smentita dall'autopsia a suo tempo svolta dal professor Zancani. Angela avrebbe annotato tutto in un diario però mai ritrovato. Ma esisteva davvero quell'agenda? E se esisteva, che fine ha fatto?
La statuina di bronzo. Le vittime, stando alla ricostruzione del medico legale, vennero prima stordite con un corpo contundente e poi sgozzate. Ma né il coltello e tantomeno il pesante oggetto che colpì il capo di Gemma, Domenico e Angela venne mai ritrovato. L'anonimo che ha inviato la sua missiva al «Mattino» sostiene invece di sapere dove quegli oggetti di morte siano stati gettati via dall'assassino. «Chi ha ucciso ha usato prima la statuina in bronzo raffigurante una dea bendata con basamento in marmo, poi un coltellaccio da cucina - si legge nell'anonimo -. Statuina e coltello sono ancora lì», dice, indicando con precisione la strada e il luogo. Domanda: come fa a sapere questo? E, ancora: sono stati svolti accertamenti mirati in quel luogo?
Il tempo. Se c'è un dato assolutamente incontrovertibile nella ricostruzione di fatti che sono successi 39 anni fa, quello è il tempo trascorso. Tanto, troppo. Inutile dire che oggi - al di là della novità dirompente del dna - la ricerca di molti riscontri risulta impossibile. Molti dei protagonisti che ruotavano intorno al caso giudiziario non ci sono più. Sono deceduti sia due soggetti che potevano rappresentare le cosiddette piste alternative, sia alcuni degli investigatori che svolsero le indagini. Il delitto di via Caravaggio, con i suoi poveri morti e un mostro senza volto, rischia di restare un enigma irrisolto.