Terra dei fuochi, ecco chi ha lucrato: l’allarmismo è costato 100 milioni

Terra dei fuochi, ecco chi ha lucrato: l’allarmismo è costato 100 milioni
di ​Luciano Pignataro
Lunedì 16 Febbraio 2015, 08:36 - Ultimo agg. 15:27
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Con i suoi 500mila ettari di superficie agricola, la Campania è, insieme alla Puglia e alla Catalogna, uno dei tre grandi poli agroalimentari europei. Se togliamo l'edilizia in crisi e l'industria in risacca ormai dagli anni '70 (salvo rare eccellenze), l'agricoltura resta, insieme al turismo, una delle gambe su cui cammina il tessuto sociale della nostra regione.

Ecco perché l'impatto della Terra dei Fuochi è stato devastante: non solo, e non tanto, per i cento milioni di danni quantificati qualche mese fa dal presidente di Confragricoltura Mario Guidi, ma per il colpo che è stato dato all'immagine della Campania Felix.



Nell'epoca della globalizzazione, in cui se un pollo si ammala di aviaria in Vietnam la signora Rossi non va più dal beccaio sotto casa per almeno un mese, la tempesta è stata violenta in tre ondate.

La prima è quella dello scandalo della diossina che trovò la Regione priva di un assessorato all'Agricoltura (era stato unificato alle Atttività Prdouttive) e con l'Ente di promozione sciolto per dire di aver fatto qualcosa di moderno.

La seconda quella delle immagini di Napoli e della Campania sommerse da sacchetti della monnezza, che non aveva consorzi preparati a rispondere all'offensiva, armati di frecce contro i missili. La terza, infine, le rivelazioni dei pentiti sui rifiuti tossici fatte qualche anno fa ma diventate virali alla fine del 2013 tra i media e sui social



I danni sono stati pesanti e hanno colpito soprattutto la mozzarella, il prodotto diventato una metafora esistenziale di tutto quello che non funziona in Campania nonostante non ci sia il minimo rischio per la salute umana, come attestano le migliaia e migliaia di test fatti dall'istituto Zooprofilattico di Portici e dalle Asl sul territorio. Nei primi mesi del 2014 si è parlato di un calo del 40 per cento mentre l'export, secondo uno studio del Banco di Napoli (contestato però in ambienti del Consorzio di Tutela), sarebbe calato di 54 milioni.



A conti fatti, però, il decreto dei ministri Martina Galletti e Lorenzin proibisce di coltivare solo 15 ettari ricadenti in 57 comuni degli 88 considerati a rischio. Una tempesta in un bicchiere d'acqua? Difficile tirare le somme finale, ma un dato è certo: l'allarmismo che ha travolto tutti i prodotti della Campania non ha alcuna giustificazione scientifica.



Esemplare la vicenda di Gaia, principale azienda produttrice di Cipolle di Montoro in provincia di Avellino, un territorio a oltre 60 chilometri dall'area a rischio, esportatrice in Germania di prodotti bio di quarta gamma.



Ebbene i tedeschi hanno bloccato la vendita e sottoposto la merce a nuove analisi, a spese dell'azienda. «I risultati -spiega il propietario Nicola Barbato - sono stati di assoluta sicurezza per la salute e abbiamo ripreso ad esportare». Ma anche quei 5000 euro spesi per fare le analisi rientrano nei danno subiti dal nostro sistema agroalimentare.

La tempesta mediatica è stata incredibile: trasmissioni tv che mettevano insieme Terra dei Fuochi e Paestum, una copertina dell'Esapresso dalla quale si evinceva che l'acqua di Napoli sarebbe avvelenata, persino un doppio colpo di Report sul caffè che farebbe schifo a Napoli e sulla pizza, presentata quasi come un elemento a rischio perché cotta tra i fumi del forno a legna, condita con olio rancido e prodotta con farina 00, ossia una delle eccellenze italiane trasformata in una cosa che fa male. Come se si dovessero assumere fibre alimentari sempre e comunque e non nell'ambito di una dieta bilanciata giornaliera.



Ancora un paio di settimane fa in una trasmissione di Rai Due si parlava di brucellosi con una mozzarella in studio omettendo di dire che il livello di incidenza di questa malattia in Campania è sotto la media nazionale e che, soprattutto, non c'entra nulla con il latticino perché per produrlo bisogna riscaldare il latte a una temperatura in cui tutti i batteri muoiono.

La Terra dei Fuochi è stata comunque un grande affare. Per chi ha cercato di coprire i vuoti lasciati dall'agroalimentare campano: aziende di pomodori del Nord, multinazionali che hanno vantaggio dalla difficoltà della dop nonostante che le uniche mozzarelle sequestrate siamo state quelle blu riconducibili alla Granarolo. Per non parlare dei mediatori di ortofrutta che hanno fatto «girare» i prodotti campani dal Lazio e dalla Puglia. Nel frattempo nasce il marchio Mozzarella Stg sostenuto da Zaia e molti hanno iniziato a riconvertire gli allevamenti da bovini in bufalini.



Quello che è incredibile in questa storia è che i dati ufficiali non sono tenuti in alcuna considerazione, non solo dai consumatori, ma anche da chi lavora nei media. Ormai il protocollo è sempre lo stesso, quello che non fa notizia non è vero.

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