L'Università Orientale apre le porte ai migranti: corsi e laurea gratis

L'Università Orientale apre le porte ai migranti: corsi e laurea gratis
di Maria Pirro
Martedì 15 Settembre 2015, 08:36 - Ultimo agg. 19 Marzo, 03:30
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«La prima parola è sempre: vorrei». Flavia De Cicco sorride dietro la lavagna. È maestra di italiano, di desideri e di gentilezza. Insegna ai migranti come prendere un caffè, leggere lo scontrino, esprimersi correttamente («Si dice centesimi, non santesimi» ripete). E così indica una strada, una strada nuova e vicina, per entrare nel futuro. Mentre la Germania chiude le frontiere e l’Europa resta dietro i cordoni di un’emergenza senza fine, L’Orientale apre le porte ai richiedenti asilo. Li iscrive gratis alle lezioni d’Ateneo.



«L’iniziativa pilota, senza precedenti in Italia, sta suscitando grande entusiasmo» dice soddisfatta la professoressa Anna De Meo, presidente del Cicla, il Centro interdipartimentale di servizi linguistici e audiovisivi, che poi fa parlare i numeri. Tra i 90 che frequentano le classi di base, in attesa dei documenti inseriti nel progetto Iara gestito dall’associazione Less, ce ne sono dieci, diplomati nei Paesi d’origine, che vogliono continuare gli studi.



Altri quindici chiedono di seguire da uditori. E la rettrice Elda Morlicchio offre loro massima libertà nella scelta degli indirizzi e nei tempi di inserimento: «All’inizio si può frequentare un corso o due, solo per acquisire una specializzazione e trovare lavoro con più facilità» suggerisce la professoressa.



Una proposta è puntare sulla figura di mediatore culturale, valorizzando la lingua d’origine con esami di diritto internazionale ed economia a Scienze Politiche. Un’altra opportunità consiste nell’ottenere il riconoscimento di abilità e titoli conseguiti in patria per completare la carriera accademica spesso bruscamente interrotta. Ma L’Orientale apre anche a lezioni di tedesco, interessanti per la maggior parte dei giovani, dai 19 ai 35, quasi tutti uomini che puntano al Nord.



In viaggio per gli Stati. Irfan M., 27 anni e mocassini chiari, finalmente si siede, tra i banchi, dopo una traversata «troppo lunga», come la definisce in un italiano impeccabile. È arrivato a piedi dal Pakistan ed è circondato da compagni di strada. Ma l’accoglienza non è stata cordiale ovunque.



«Sono fuggito per motivi politici» racconta. «Sì, a piedi ho attraversato in sei mesi la Turchia e in un mese la Bulgaria. Per nove mesi sono rimasto in Grecia, dove ho lavorato in una fabbrica senza contratto. Poi quindici giorni in Albania, una settimana in Montenegro, due mesi in Serbia, altri due in Ungheria e tre giorni in Slovenia». Tappa d’esordio nazionale: Trieste. Ed eccolo a Napoli. «Mi trovo bene, mi piace la città», sottolinea. «Mi piace la gente», gli fa eco il 23enne Friday I., ex falegname nigeriano oggi studente modello.



Ousaine D., del Gambia: «Ho 30 anni e tre figli» si presenta superando la timidezza. «Vorrei far trasferire qui tutta la famiglia: sono disposto a fare il contadino, il camieriere, il commesso... Ma il riconoscimento dello status di rifugiato è indispensabile per lavorare». E l’Università è anche l’occasione per «guardare oltre»: alla possibilità di un impiego qualificato, fa notare De Meo assieme alle insegnanti Rasaria Illiano, Roberta Gaelano e Rosaria Esposito. Velocità nell'iter burocratico, che può durare anche un anno e mezzo per ottenere i documenti necessari per ripartire davvero, è la priorità manifestata durante la lezione di italiano a L’Orientale che promuove quella formula elegante: «Sempre, vorrei...».



Ma un altro ragazzo nigeriano di 20 anni in aula si fa avanti e aggiunge all’elenco: «Io ho bisogno di amore». Sorridono tutti. «Noi che vogliamo essere allievi di tutti, maestri di tutti, e di tutti amanti...». Finisce che le loro storie, uguali e diverse, sembrano scolpite nei versi di Whitman. In altre parole che ritornano, universali e sospese: «Abbiamo visto le stagioni che si profondono e passano, e abbiamo detto, Perché un uomo o una donna non dovrebbero fare come le stagioni, spargersi come loro».
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