Il vescovo ausiliare di Napoli: «Da ingegnere a sacerdote, scelta di vita»

Il vescovo ausiliare di Napoli: «Da ingegnere a sacerdote, scelta di vita»
di ​Maria Chiara Aulisio
Martedì 18 Novembre 2014, 18:03 - Ultimo agg. 19 Novembre, 00:04
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Figlio di un operaio della Sip e di una casalinga napoletana, Salvatore Angerami, classe ’56, vomerese di nascita, terzo vescovo ausiliare di Napoli, consacrato lo scorso 8 novembre durante una cerimonia in Cattedrale, il giorno in cui si laureò in Ingegneria elettronica aveva già capito che quel mestiere non lo avrebbe mai fatto. E neanche per un attimo pensò di aver sprecato tempo, denaro e anni di studio faticosissimo. Anzi. In realtà, don Salvatore, era solo all’inizio di un lungo percorso di apprendimento, meditazione e preghiera che lo avrebbe portato a diventare il numero tre nella gerarchia ecclesiastica della Curia di Napoli, per espressa volontà di Papa Francesco.



Bella carriera.

«Quello che a noi può sembrare carriera, agli occhi di Dio altro non è che la risposta a una sua chiamata».



A proposito di chiamata. A che età è diventato sacerdote?

«Era il 1997, avevo 41 anni. L’ho capito durante un’adorazione eucaristica nella chiesa di San Francesco e Santa Chiara a Ponticelli dove poi ho celebrato la mia prima messa».



Vocazione un po’ tardiva però.

«In realtà non è così».



Ci spieghi.

«Il seme della mia vocazione risale all’infanzia. Ho vissuto in una famiglia semplice e molto cattolica che mi ha trasmesso il valore e l’importanza del nostro credo».



Allora perché si è fatto prete a quarant’anni? Anzi a quarantuno.

«Le amicizie, lo studio, la famiglia...».



Che vuol dire?

«Ero preso da tante cose, troppe. E incosapevolmente soffocavo quella chiamata dall’alto che diventava sempre più insistente».



Magari aveva pure la fidanzata?

«Certo. Nella mia vita ho vissuto anche l’esperienza dell’innamoramento».



Come ha reagito la sua ragazza quando le ha comunicato che sarebbe diventato sacerdote?

«Non ho lasciato in lacrime nessuno. In quel periodo non avevo alcuna relazione sentimentale, da questo punto di vista è stato tutto più facile».



E la sua famiglia? Tanti sacrifici per farla diventare ingegnere e poi la decisione di andare in seminario. Mica facile per i suoi genitori?

«È vero, rimasero di stucco. Per fortuna, però, mia madre è una donna di grande fede. Aveva capito che su di me si era poggiata la mano di Dio.

Dunque, benché consapevole degli anni di sacrificio, si rendeva conto che stava accadendo qualcosa ben più importante».



Quindi?

«Subito dopo la laurea cominciai un cammino propedeutico per l’accesso al seminario fatto di incontri e spiritualità. Nel frattempo mi ero anche iscritto alla facoltà Teologica e avevo iniziato gli studi del biennio filosofico».



Seconda laurea, dunque?

«Sì e anche molto impegnativa. Studiavo presso la facoltà di Capodimonte, nello stesso seminario di cui oggi sono rettore. Sono stati anni straordinari».



E l’ingegneria?

«Non era quella la mia strada. Ma sono soddisfatto di aver ugualmente portato a termine gli studi, inclusa l’abilitazione alla professione e qualche esperienza di lavoro. No, non mi pento di nulla. Vado avanti per la mia strada con l’aiuto di Dio».



Ne avrà bisogno visto che raccoglie più di un incarico. Non crede?

«Su mandato del Cardinale Sepe il mio primo impegno resta quello di rettore del seminario maggiore di Capodimonte. Tutto il resto non sacrificherà mai questo servizio. È lì che formiamo i futuri sacerdoti di cui abbiamo sempre più bisogno».



E il vicario?

«Farò anche quello, da umile collaboratore nella pastorale dell’Arcivescovo».