Capossela e «Un'altra Galassia»: «La mia umana commedia nella selva oscura irpina» | Foto

Capossela e «Un'altra Galassia»: «La mia umana commedia nella selva oscura irpina» | Foto
di Federico Vacalebre
Sabato 13 Giugno 2015, 21:47 - Ultimo agg. 21:48
3 Minuti di Lettura
Evento clou della seconda e penultima giornata della kermesse «Un'altra Galassia» il faccia a faccia tra Vinicio Capossela e Valeria Parrella. Il cantautore-scrittore torna a Napoli all'indomani dell'esclusione dalla cinquina dello Strega del suo «Il paese dei coppoloni», ma felice, spiega, per «il riconoscimento dei circoli della Società Dante Alighieri», che l'hanno votato più di qualsiasi candidato: «Sono lettori senza nessun tipo di possibilità di influenza editoriale. Dante è la lingua, la possibilità di abitare una lingua. Una lingua che il Poeta modellò dal volgare, la lingua parlata: il suo edificio ci ha consegnato un palazzo metafisico da abitare in eterno».







Il suo romanzo, come la graphic novel di Zerocalcare «Dimentica il mio nome», ha agitato il concorso letterario più della sponsorizzatissima Elena Ferrante di «Storia della bambina perduta», corpi realmente «altri», «diversi», inseriti quasi come un virus nel concorso letterario: «Il paese dei coppoloni», spiega Capossela, «è un libro che raccoglie la sapienza di chi non ha bisogno di leggere e scrivere. Una specie di ”umana comedia”, con molti ”riavoli”, qualche mezzo santo, monti che possono ricordare il purgatorio, selve oscure e un paradiso che è irraggiungibile, quello dell'infanzia del mondo. La purezza perduta che cerchiamo di ricomporre col canto».



Eccolo, lo scrittore che si ricorda di essere anche chansonnier, e, ancora prima, consumatore di canzone popolare: «Cambiano nome i canti, e tramutano un poco la melodia, ma non il moto d'animo che li ha originati», scrive nel libro, o ora spiega: «Cerco di stare alle calcagni dei canti, che non amano stare fermi. Mi piace scoprire per condividere». Vinicio racconta la «sua» Irpinia con una voce originale, profonda, che sa di terra, di sudore, di vino, di cannazze: «L'importante è rendere abitabile una lingua, farla accogliente, come sempre dovrebbero essere le donne. Rimodulare in canto epico una lingua sporca di terra, di mestieri in estinzioni. Raccontare l'epica dei domatori di camion, dei dragatori di fiumi, dei mulattieri e dei barbieri... questo è un po' il canto dei coppoloni».

Il Sud magico di De Martino, il Pasolini nostalgico delle lucciole, forse anche il narratore verace Marotta sembrano attraversare la prosa caposseliana: «Esiste una umanità che ha una voce straordinaria e non si ritrova nei media. Io credo che il “popolare“ debba essere trattato con grande cura. Può facilmente generare mostri, essere disinnescato nel folclorismo . Ma ci sono voci di veri poeti, di aedi a ogni angolo. Oltre alle lucciole abbiamo perso anche le rane, non se ne sentono gracidare più perché hanno bisogno di acqua pulita per gracidare, stiamo perdendo le api, le castagne e le noci... il mistero. Benvengano le cose che rendono più ampio il mondo e che ci fanno sentire piccoli».

Nel refettorio di via Anticaglia, Vinicio si è confrontato con la collega napoletana, che ha poco pubblicato la raccolta di racconti «Troppa importanza all'amore»: «Valeria Parrella mi è sempre piaciuta perché nel suo viso ha qualcosa di Jeff Buckley, è un'indagatrice del mito col volto di un angelo che brucia». A rassegne come «Un'altra Galassia» il cantascrittore affida un compito quasi disperato: «L'omologazione della lingua è un fatto. Si contrasta prendendosi il tempo. Il tempo di ascoltare e tenere in vita le cose. Nel mio romanzo ricorre una domanda cardine: chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando? Sono tutte domande che necessitano di tempo, perfino per essere poste».
© RIPRODUZIONE RISERVATA