Pietà dei Turchini, il cardinale Sepe inaugura il restauro della tela di De Matteis

Pietà dei Turchini, il cardinale Sepe inaugura il restauro della tela di De Matteis
di Donatella Trotta
Giovedì 19 Giugno 2014, 17:08 - Ultimo agg. 19:09
5 Minuti di Lettura

Un tempo era nota come «la fabbrica dei cantori napoletani del Sei e del Settecento». Oggi è una importante parrocchia nel cuore di Napoli, che nel suo nome conserva echi di una storia lunga e avvincente. Quella di un’identità che ha attraversato più di quattro secoli con tre anime: musicale, spirituale e artistica.



È la chiesa di Santa Maria Incoronatella nella Pietà dei Turchini, in via Medina 19, dove sabato 21 giugno verrà inaugurato il completamento del restauro di una grande tela ad olio di Paolo De Matteis (1662-1728), alta tre metri e 20 e larga più di due, raffigurante la Resurrezione di Cristo.

L’evento coincide con il conferimento del possesso canonico per il ministero pastorale al nuovo parroco, don Simone Osanna, da parte del cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, che alle ore 19 presiederà la solenne celebrazione eucaristica prima della “restituzione” alla città della tela secentesca. L’opera, riportata al suo stato originario da un meticoloso restauro curato dalla ditta Dafne Restauri, attraverso la supervisione della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale napoletano, con la responsabile storico-artistica e direttrice dei lavori Annachiara Alabiso, è situata nell’abside sul retro dell’altare, ed è parte di un ricco patrimonio artistico che, nelle intenzioni di don Simone, «deve tornare alla pubblica fruizione ben oltre il culto liturgico».

«Mi piacerebbe – continua il parroco – trasformare quest’abside in una piccola pinacoteca, di cui questa importante tela è solo una prima tappa, conquistata grazie al contributo di tanti generosi parrocchiani e di sponsor privati, come Ciro a Medina che ha donato 18mila euro per la realizzazione del restauro.

Ma tanto ancora resta da fare, per salvare dal degrado altre opere e valorizzare così al meglio questo scrigno di tesori artistici, ricco di sculture, affreschi, dipinti e marmi policromi, che merita di essere meta non soltanto di fedeli, ma anche di un turismo culturale che da questo storico crocevia possa poi irradiarsi al centro antico».

Tesori inevitabilmente insidiati dall’usura del tempo, come confermano i restauratori che per sei mesi hanno lavorato alla tela di Paolo De Matteis, pittore cilentano allievo di Luca Giordano e a lungo operante nella Napoli barocca, dove fra il resto fu autore anche degli affreschi per la cappella di Sant’Ignazio di Loyola al Gesù Nuovo: «L’opera era in pessimo stato di conservazione» spiega Amelia Mazzitelli della Dafne Restauri, coordinata, con Michele Gargiulo e altri, dalla direttrice tecnica Agata Finocchiaro: «risultava annerita e oscurata da processi di ossidazione e accumuli di sporcizia, con presenza di lacune colmate da materiali non coerenti, abrasioni, crettature, tagli e lacerazioni in diversi punti, tanto da rendere l’immagine e la cromia originale dell’opera difficilmente leggibili». Dopo sei mesi di lavoro corale, l’opera è ora nuovamente tornata alla pubblica fruizione.

In buona compagnia con le sculture di Lorenzo Vaccaro, gli affreschi di Agostino Beltrano, ulteriori pale e tele con soggetti sacri di Battistello Caracciolo, Luca Giordano, Giacinto Diano, Andrea Vaccaro, Belisario Corenzio, Filippo Vitale: per citare soltanto alcuni degli artisti “ospitati” in questa chiesa, fondata a fine Cinquecento, ampliata negli anni Trenta del Seicento con una sobria facciata su via Medina rifatta nel 1770, su progetto dell’architetto Bartolomeo Vecchione e tuttora aperta al culto.

Una parrocchia-museo vivente, come tante belle chiese di Napoli, che tuttavia nella sua anima “trinitaria” può vantare un supplemento di trascorsi particolarmente significativi, per la storia della carità, della musica e dell’arte a Napoli: «Nella Pietà dei Turchini – sottolinea don Simone – hanno studiato Alessandro Scarlatti, Giovan Battista Pergolesi e Giovanni Paisiello; qui hanno insegnato, nel periodo di massimo splendore della scuola musicale, artisti del calibro di Francesco Provenzale, Nicola Fago e Leonardo Leo, che formavano numerosi cantanti e strumentisti, assai ricercati soprattutto per il vicino teatro San Carlo e non solo».

Già. Perché Santa Maria Incoronatella nella Pietà dei Turchini deve il suo nome a una complessa - e dai più purtroppo dimenticata - storia di riscatto sociale attraverso la musica: «la fabbrica dei cantori napoletani del Sei e del Settecento» fu, infatti, uno dei primi quattro conservatori napoletani dalla fusione dei quali nacque, nel 1807, quel Real Collegio di Musica poi divenuto l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella.

In origine, accoglieva numerosi bambini, ragazzi e giovani abbandonati, spesso orfani, strappati alla strada, alla solitudine e all’indigenza e avviati all’arte della musica dalla “pietas” della Congregazione dei Bianchi dell’Oratorio, che da Rua Catalana fino a via Medina seppe pionieristicamente trasformare la carità assistenzialistica in formazione culturale e professionale, socialmente utile, nella Napoli tardo cinquecentesca e oltre. Una città crocevia di arti dove quei piccoli ospiti - futuri musici molto richiesti -, vestiti di lunghe tonache turchine, venivano accolti in spazi dignitosi, dotati persino di servizi e infermeria, e sfamati: non solo materialmente, ma anche spiritualmente e artisticamente.

Una storia che fa vibrare l’animo di don Simone Osanna, origine procidana, da 15 anni sacerdote, appassionato di musica e discreto organista. Che per questo sta scommettendo sul rilancio della “sua” nuova antica parrocchia: «Magari – sorride -, corredandola anche di adeguati pannelli esplicativi in plexiglas, per i quali abbiamo chiesto un finanziamento alla Regione Campania, da uniformare in tutte le splendide chiese napoletane per rendere più fruibile ai visitatori un itinerario nella bellezza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA