All’inizio, appena firmato il contratto, non sapevano dove metterli e li alloggiarono con la camera oscura in quello ch’era stato il bagno delle donne, al primo piano del palazzo di via Chiatamone 65. Era il 1970. Cominciò così la storia dei fotografi de «Il Mattino» radunati nell’agenzia Fotosud.
In principio erano Peppino Di Laurenzio, Marittiello Siano, Antonio Troncone e Franco Pappalardo che dopo un paio d’anni uscì - diventò archivista per avere più tempo per la famiglia - e lasciò il posto a Guglielmo Esposito detto Willy, il più giovane di tutti. Avevano un obbligo di esclusiva ma non potevano dire no a riviste importanti nel mondo, e la redazione chiudeva tutti e due gli occhi.
Oggi l’agenzia si chiama Newfotosud, se fai l’appello ascolterai i cognomi dei fondatori, perché i figli d’arte lavorano lì.
Era un narratore. Negli ultimi anni andò a vivere da una figlia in America. Come gli altri pionieri, tranne Troncone cresciuto nella ditta di famiglia, veniva dalla scuola di Riccardo Carbone, un gran signore, il «redattore fotografo» numero uno del nostro quotidiano fin dagli anni Venti. Chimico mancato, amico di Eduardo Scarfoglio da lui convinto a un maggior uso della immagine, uscì di scena quando entrarono i suoi allievi. Mario Siano se n’è andato nel novembre del 2003, a 64 anni. Aveva imparato dal padre. Era un artista e restava un guaglione di vicolo, capace di far rivivere in ogni foto l’umanità del popolo napoletano. Anche quando catturava tragedie, le rappresentava con dignità, con rispetto. E questa caratteristica di narrare la parte peggiore di Napoli - inevitabile sui giornali - con fedeltà ma senza eccessi, quasi con gentilezza, fu comune a tutta la compagnia. Marittiello era allegro sempre, pure quando si ammalò.
Un generoso, tutti noi cronisti ragazzini abbiamo imparato qualcosa da lui, anche se fingeva d’imprecare: «Chi se la fa cu ’e criature, se trova spuorco ’a notte». Antonio Troncone è morto nel gennaio del 2009, a 75 anni. Portava con modestia un nome importante, aveva cominciato da bambino forando le bobine delle pellicole nello storico Archivio Troncone creato dallo zio e dal padre, antesignani della produzione cinematografica e fotografica a Napoli. Una volta fu mandato in ritardo a uno sciopero dei negozianti con feriti e se ne tornò con l’immagine dolente di una serranda abbassata, che rendeva l’idea dell’accaduto.
Conviveva con la nostalgia, ricordava i servizi tra le misere baracche di via Marina, quelli sul colera, le corse d’auto a Posillipo, Omar Sivori, il tennis in Villa Comunale. Guglielmo Esposito, il piccerillo della compagnia, ha detto addio nel settembre del 2013, a 63 anni. Pure lui aveva imparato da Carbone, al quale era arrivato dopo la scuola di fotografia al Casanova. Era un finto pigro, si lamentava sempre del superlavoro ma non si negava mai e operava con scrupolo assoluto e talento da leader. Per decenni ha avuto, con Siano, le missioni più importanti e delicate.
Puntava l’occhio attento su tutto ma amava in particolare la cronaca e il pallone, specie quello carezzato da Maradona. Quando gli dissero che aveva una malattia grave, gravissima, non smise di sorridere e morì in piedi, come aveva vissuto. E poi non rimase nessuno. Ma c’è Sergio Siano a farsi carico di tutto questo peso di memoria. E’ ancora uno scugnizzo dei Quartieri ma «per i racconti di papà, Troncone e Di Laurenzio ho già raggiunto il doppio dell’età che ho». Nell’immagine della locandina c’è lui ragazzino in mezzo ai quattro, davanti al tavolo luminoso.
Sergio ha il terrore che tutto questo patrimonio vada disperso e perduto. E quindi ha il sogno di radunare in una archivio pubblico le testimonianze lasciate da tanti fotografi napoletani di valore. Non hanno mai fatto scuola perché qui le adunate non riescono mai tanto bene eppure restano espressione di una filo coerente di bravura e di verità. Quando tanti altri partivano alla ricerca del successo altrove, Sergio è rimasto, perché ha «capito che Napoli è il mondo, così tento di raccontare tutto il mondo che la città contiene».