Teatro San Carlo, dire «no» ai ricatti e ai patti col diavolo

Teatro San Carlo, dire «no» ai ricatti e ai patti col diavolo
di Vittorio Del Tufo
Sabato 21 Febbraio 2015, 13:55
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E così, mentre le istituzioni litigano per ridisegnare la governance del San Carlo, c’è chi del San Carlo sta facendo carne di porco, trattandolo come il cortile di casa sua. Questo, almeno, stando alla denuncia presentata in Questura dalla sovrintendente Rosanna Purchia.



Una denuncia che spalanca scenari inquietanti, e svela intrecci di malaffare dietro le quinte della nostra istituzione culturale più prestigiosa. Il cui retropalco, sempre a giudicare dalle accuse su cui ora indaga la Digos, sarebbe affollato di zone d’ombra e comportamenti opachi. Con un sottobosco sindacale arrogante e consociativo che non esita ad agitare le acque e a intorbidirle, al grido di facite ammuina, ogni qualvolta ci siano affarucoli e appalti su cui affondare i denti e le mani.



Accuse gravi e tutte da dimostrare. Qualcuno, tra uno spettacolo e l’altro, ha messo in piedi un comitato d’affari con l’obiettivo di gestire gli appalti per favorire gli amici e gli amici degli amici? Toccherà alla magistratura, dopo la denuncia della sovrintendente, che ha raccontato di aver subìto pressioni indebite, fare chiarezza su quanto accade al San Carlo.



Ma intanto sarà bene che il sindacato tradizionale, a cominciare dai suoi dirigenti locali, si svegli e si interroghi su questa deriva di interessi occulti e di piccole consorterie che rischiano di trasformare ogni evento, ogni concerto, ogni appuntamento di un certo rilievo programmato al teatro Lirico in una corsa a ostacoli tra minacce di sciopero, urla sguaiate e sipari strappati. È il ricatto delle conventicole e delle camarille, a cui una certa demagogia politica a un tanto al chilo di questi tempi cupi tende spesso la mano per ottenere in cambio la contropartita del consenso a buon mercato.



Sarà bene che anche gli «Amici del San Carlo» e tutti coloro che hanno a cuore le sorti del teatro Lirico napoletano s’interroghino su quello che sta succedendo dietro le quinte del Massimo e che lo facciano subito: oggi, non domani, perché c’é il serio rischio che di fronte a questa implosione di microinteressi i grandi artisti scappino via a gambe levate, né più né meno di quanto ha fatto il maestro Riccardo Muti, nei mesi scorsi, da un Teatro dell'Opera di Roma ormai ingovernabile.



Infine non sarebbe male, mentre al San Carlo risuonano le sublimi note del «Tristano e Isotta» di Wagner diretto da Zubin Metha, che su questa deriva s’interrogasse anche il sindaco De Magistris, sempre (e giustamente) rapido a intercettare le istanze dei lavoratori. Nei mesi scorsi, lanciando il guanto di sfida alle istituzioni che lo governavano, il primo cittadino ha scelto di indossare l’elmetto, strizzare l’occhio ai sindacati più barricaderi e trasformare il palcoscenico del San Carlo in una trincea, mettendosi di traverso rispetto al piano industriale previsto dalla legge Valore Cultura e rifiutando il finanziamento statale.



Ora che la parentesi commissariale si è chiusa, con i conti finalmente tornati in ordine, per il San Carlo si è aperta una fase nuova che va riempita - dalla governance alla direzione musicale - con scelte prestigiose e di alto livello. Ma è soprattutto con la logica delle piccole consorterie e del tutti contro tutti, quella stessa logica che nei mesi scorsi ha rischiato di mandare il Lirico a gambe all’aria, che bisogna farla finita. Le istituzioni cittadine si assumono una grave responsabilità se scelgono di scendere a patti con chi ha scelto di innalzare l’asticella delle pressioni sindacali fino al livello del ricatto. L’arte non può vivere di ricatti e le strutture pubbliche non possono diventare ostaggio delle piccole corporazioni, né, magari involontariamente, coprirle. La logica dei veti, delle cordate e delle comparanze, dietro la quale troppo spesso si annida la difesa a oltranza di microinteressi di parte, non ha niente a che vedere con le ragioni del San Carlo e di chi ci lavora, e nemmeno con quelle della Cultura.



I cui disastri, soprattutto a Napoli ma non solo a Napoli, vengono spesso frettolosamente attribuiti solo alla carenza di fondi (problema reale, certo, e drammatico) mentre esiste un grado di inquinamento consociativo e pattizio di cui un certo sindacalismo ha una quota parte di responsabilità, senza che sia mai chiamato a pagare il conto.
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