I pastori dei fratelli Scuotto sul monte di Gerusalemme

I pastori dei fratelli Scuotto sul monte di Gerusalemme
di Pietro Treccagnoli
Sabato 4 Ottobre 2014, 23:30 - Ultimo agg. 5 Ottobre, 13:12
3 Minuti di Lettura






I pastori napoletani racconteranno la Natività in Terrasanta. Nel convento francescano del San Salvatore a Gerusalemme il prossimo Natale sarà speciale e vestirà i colori e la fantasia del grande artigianato della nostra città grazie al presepe commissionato alla Scarabattola dei fratelli Scuotto.



GUARDA IL VIDEO







Partirà per Israele tra qualche giorno per essere allestito e inaugurato il 22 novembre, con una benedizione e una cerimonia che vedrà riunita la comunità cristiana. Una Napoli da esportazione, quindi, che valorizza l’arte popolare e la raffinatezza di una tradizione artigianale secolare che sa fare i conti con la contemporaneità.



L’opera, commissionata a marzo, ha avuto una gestazione di sei mesi. Sta per essere completata (mancano all’appello alcuni cherubini e dei puttini) è, per ora, a palazzo Manso di Scala, nel Centro Antico. Tra qualche giorno sarà smontato (sarà facile, grazie a una struttura modulare), impacchettato e spedito.



È alto circa due metri, su una base di due metri e mezzo. Si tratta di una struttura quadrata, fatta prevalentemente di sughero e di legno, che si può ammirare da tutti i lati, ognuno dei quali rappresenta un momento del grande spettacolo del presepe ortodosso, quello che ha toccato le vette più apprezzate nel Settecento.



Il giro parte dalla Natività (non c’è la grotta, ma il tipico rudere romano, tipico della narrazione visiva del XVIII secolo) con i Magi e gli angeli; a seguire l’Annuncio con il risveglio dei pastori e il sonno di Benino; la vita quotidiana, con l’osteria («Bernardo ’o Magnamm”), il pescivendolo («Manuele ’o Scialone»), Ciccibacco, il falegname, la ballerina, le figure del popolo in tutte le loro sfumature.



L’ultimo lato, invece, rappresenta l’Oriente, con le figure leggendarie e misteriose: la georgiana (qui raffigurata in portantina), gli schiavi e altri pezzi esotici accompagnati da scimmie e pappagalli. Sono circa cento i pastori, alti trentatré centimetri. Hanno teste, mani e piedi in terracotta policroma, il corpo è di fil di ferro e stoppia, gli occhi di vetro e gli abiti, riccamente decorati, in seta e stoffe naturali Sarà un viaggio senza ritorno. Il Bambino non si fermerà a Eboli. Ma sarà quasi un ritorno, però, se si accetta la leggenda medievale del primo presepe napoletano, costruito a San Domenico Maggiore. Secondo la tradizione orale sarebbe stato realizzato con terra e pietre portate dalla Palestina dai Templari, ai quali, è noto, si attribuisce di tutto e di più. La vita dei pastori si nutre di questo repertorio mitico, ci gioca mescolando passato e presente.



«Con il nostro lavoro» spiega Lello Scuotto «abbiamo provato a costruire un dialogo tra Oriente e Occidente». Scelta autonoma che ha, comunque, seguito delle indicazioni specifiche della committenza. «Volevano un presepe che si sviluppasse attorno a una montagna» aggiunge Scuotto.



«Abbiamo rispettato la richiesta nei limiti di una corretta rappresentazione del presepe». Niente diavolo, figura troppo inquietante a certe latitudini. «Spontaneamente, invece, abbiamo eliminato, i quarti di maiale appesi, sebbene abbiamo lasciato dei suini tra gli animali da cortile. Non volevano urtare la sensibilità religiosa degli islamici e degli ebrei, per il presepe sarà visto da tutti». L’effetto è, naturalmente, di grande suggestione.



La ricerca artistica della Scarabattola ha sempre fuggito il manierismo, la riproduzione minuziosa, asettica dei pastori del Settecento che ignora il passare del tempo.
Le figure, pur mantenendo lo stile rigoroso della tradizione sono asciugate dall’imitazione, sono ripensati nella loro essenza. Solo così si avvicinano all’universalità che è il messaggio che arriva da duemila anni da Gerusalemme.