Ricostruiti in 3D città e porto preistorico di Vivara

Ricostruiti in 3D città e porto preistorico di Vivara
Giovedì 3 Settembre 2015, 17:15 - Ultimo agg. 18:32
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Nel XVII secolo A.C., l'isolotto di Vivara, nel Golfo di Napoli, ospitava un articolato insediamento umano ed era uno dei porti di riferimento nella zona. È quanto emerge dagli studi su lunghi scavi archeologici cominciati nel lontano 1975 dall'archeologo Massimiliano Marazzi, oggi alla guida del Centro Euromediterraneo per i Beni Culturali dell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, e che, grazie alle moderne tecnologie, hanno portato gli studiosi a poter ricostruire al computer in 3D la civiltà che si sviluppò sull'isola, che all'epoca era ancora un promontorio attaccato all'isola di Procida.



Una ricerca, quella di Marrazzi e del suo team, molto difficile: l'idea era quella di riportare alla luce uno dei siti preistorici più interessanti del bacino del Mediterraneo ma che ha dovuto fare i conti con la subsidenza dell'isola che l'ha portata ad abbassarsi notevolmente: oggi molti degli insediamenti del passato si trovano infatti a 14 metri sotto il livello del mare. La svolta è arrivata con l'uso delle moderne tecniche di rilevazione subacquea tridimensionale, usati per la prima volta in Italia proprio a Napoli all'Università Suor Orsola Benincasa.



Si è potuto così ricostruire l'intero insediamento capannicolo, che occupava all'origine tutta la superficie dell'isola e degradava in terrazzamenti articolati in scale, viottoli e grandi abitazioni a pianta rettangolare, giù fino al mare. «Su un pianoro naturale che domina la punta dell'Alaca - racconta Marazzi - sono venute alla luce le tracce più interessanti dell'abitato risalente al XVII secolo a.C. rappresentate dai resti di due grandi capanne (di circa 4 metri di larghezza e più di 8 metri di lunghezza) che hanno restituito gli arredi che accompagnavano la vita degli antichi vivaresi: decine di ciotole e grandi vasi per la conservazione di alimenti, le piastre fittili per cuocere, punte di freccia, lame e ceselli in pietra per la caccia e la lavorazione delle pelli, gli attrezzi per la filatura della lana». Le nuove scoperte sono state portate a termine da Marrazzo e gli altri archeologi dell'Università Suor Orsola Benincasa, Germana Pecoraro, Loredana De Simone e Daniela Signoretti, con il pool di esperti di rilevazioni tecnologiche ed elaborazione dati coordinato da Leopoldo Repola e l'ausilio degli studenti dell'ateneo napoletano. Sono venute così alla luce anche le tracce degli scambi commerciali che rendevano Vivara uno dei porti più importanti dell'epoca: «Abbiamo scoperto - prosegue Marazzi - decine di frammenti di vasi torniti e decorati provenienti dalla Grecia micenea del XVII secolo a.C., l'epoca di quelle tombe a pozzo, ricche di ori e di armi, che furono scoperte alla fine dell'800 dall'archeologo dilettante tedesco Heinrich Schliemann. Desumiamo quindi che a Vivara giungeva dalle coste tirreniche centrali e forse anche dalla Sardegna quel minerale di rame che, assieme allo stagno, rappresentava il bene più importante per le civiltà dell'epoca, perché essenziale per la produzione di armi e strumenti in bronzo».



Le scoperte faranno parte di un nuovo spazio dell'area espositiva «Terra», creato dal Suor Orsola in collaborazione con l'Università Federico II e il Comune di Procida.
L'intero progetto sarà presentato a Procida il 7 settembre in occasione del convegno dedicato al tema «Il progetto TERRA e le prospettive di ricerca e collaborazione mediterranea nel settore dei Beni e del Turismo Culturali».
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