Tamaro, il «cuore pensante» di una bambina-tigre

Tamaro, il «cuore pensante» di una bambina-tigre
di Donatella Trotta
Giovedì 28 Maggio 2015, 12:21 - Ultimo agg. 12:27
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Una silenziosa bambina-tigre, diversa dalle altre, «costretta a essere una bambola» ma con l’animo di un’«acrobata»: in bilico sul crinale delle domande di senso ultimo e penultimo, sempre protesa verso «tentativi di volo» oltre l’opacità del reale. Un’adolescente inquieta, intenta a cercare la propria voce (e le radici di una vocazione alla scrittura) ascoltando quella del mondo per riuscire, infine, ad addentrarsi nella «parte non misurabile» del visibile, e raccontarla, dando spazio – come «un faro nella notte» - all’intermittenza della luce nel buio: non tanto per raggiungere, navigando nella vita, un approdo impossibile, quanto per scongiurare il naufragio dello «spirito di maternità, il grande assente di questo tempo», e magari «sollevare lo sguardo verso il cielo e accorgerci che Dio non è un re, ma un nido».



È un personalissimo cammino di ricerca interiore declinato in tre grandi tappe costellate di pillole (ricostituenti) di saggezza spirituale di una credente non dogmatica Un cuore pensante, la nuova opera di Susanna Tamaro (nella foto di Rachele Z. Cecchini) da oggi in libreria (Bompiani, pp. 224, euro 14). Un titolo preso in prestito dai folgoranti Diari di Etty Hillesum: «La considero, da quando la lessi la prima volta a 20 anni, una compagna di ricerca e di vita, e non vedevo l’ora di dedicarle un omaggio che la evocasse», confida la scrittrice, che con lo stesso titolo ha tenuto una rubrica quotidiana su «Avvenire» da ottobre a dicembre dell’anno scorso.



«Ma questo libro – chiarisce Tamaro – nasce prima, dal mio desiderio di raccontare un percorso spirituale. Dal quale ho estratto, con un procedimento inverso, alcuni frammenti, condensati ogni giorno per la rubrica, che costituiva per me una sfida non lieve. O una stimolante provocazione: trovo infatti che si tenda a liquidare l’argomento fede in termini di assenza o presenza di essa, ma è raro che si parli dell’itinerario per arrivarci. O per allontanarsene. E trovo che oggi andare oltre la religione, per andare incontro alla fede, sia questione urgente ma più complessa e temibile, perché richiede spiriti liberi, cuori pensanti, appunto, come il cristianesimo autentico».



Già. Perché in fondo Dio abita dove lo si lascia entrare, recita la sapienza di un racconto chassidico: e si sente allora a tratti anche l’eco relazionale del Cammino dell’uomo di Martin Buber in queste pagine, concatenate quasi come un seguito del precedente memoir di Tamaro Ogni angelo è tremendo (2013) epperò declinate, qui, in una sorta di diario dell’anima fatto di riflessioni/meditazioni frammentarie, provocatorie e brevi come koan zen, dove l’ispirazione impietosamente autobiografica si connette allora empaticamente a temi “eticamente sensibili” della contemporaneità; e lo spunto di una formazione nell’Italia degli anni ’60 si intreccia, così, ad un’attualità problematica al bivio di scelte radicali: se accettare, ad esempio, il peso della coscienza interrogante e critica oppure il giogo tirannico e mortificante dell’«impero delle opinioni» e della «dittatura del desiderio» in un mondo «costruito sulla sabbia» della tecnica, «scienza senza più stupore»; ancora, se essere “individuo-massa” nel regno dell’indistinto che appiattisce la ricchezza delle differenze ovvero persona, figlia della complessità del vivente; e infine, soprattutto, se decidere di «vivere da morti, o morire meravigliosamente da vivi».



«La parte ebraica è molto importante nella mia vita – ammette Tamaro – e nella mia anima mitteleuropea. Sono cresciuta nella Trieste del Novecento, a contatto con intellettuali esponenti di quel mondo in estinzione, come Canetti, dai quali ho assorbito l’inquietudine del dubbio, delle domande, della quête, accanto all’angst: emozione trascendente che coniuga l’angoscia di vivere con la speranza di vincere questa angoscia, di superare il suo carico di dolore. La mia ricerca di fondamento parte da una visione spirituale concreta, perché non sacrifica la realtà al mistero ma coglie il mistero nella realtà. Trovo che oggi il mondo abbia preso una deriva molto pericolosa, con un tecnoefficientismo anestetizzante che non lascia spazio ai più deboli, a valori come la mitezza e la gentilezza, ma semmai a una follia etologica che esplode, incontrollata, proprio perché abbiamo rimosso l’Ombra annidata nell’anima di ciascuno di noi».



Nel libro non mancano considerazioni critiche sui temi della differenza e del gender, quando afferma ad esempio che «l’unica diversità ammessa ormai è quella sessuale»: tema caldo, all’indomani del referendum irlandese sui matrimoni tra omosessuali… «Trovo – commenta Tamaro – che sia in atto un addomesticamento della diversità attraverso un conformismo ideologico buonista, che non giova alla ricchezza delle differenze, da tutelare invece nelle loro fragilità ma rimosse dai modelli imposti dal mainstream mediatico. Nella melma dell’appiattimento della complessità, nell'indistino che genera immobilità, trionfa allora la riduzione della vita a stereotipi: senza nessuna crescita, né sociale né umana. Occorre invece riflettere seriamente sul fatto che la vita è stata ridotta, fra il resto, alla sola funzione del tempo, dimenticando il concetto di eternità che apre all’accoglienza di un mistero che può dare respiro più profondo alla nostra esistenza».



Le radici della pace, ma anche della verità, germogliano in fondo in questa consapevolezza, racconta nel suo libro la scrittrice, che si autodefinisce «un'antenna con i fili scoperti» e con il "dono dello stupore". E una tappa significativa del viaggio del suo "cuore pensante", allora, è proprio quella riconciliazione che fa rima con la compassione, uniche luci capaci di «rigenerare il mondo». Anche dopo la morte: nel toccante cameo sulla morte del papà, intitolato «Il pianto di mio padre», Tamaro lo spiega bene: «Se riconosciamo il senso profondo dell'umano, la vita e la morte si mescolano e si rigenerano costantemente in una danza che non può suscitare altro che meraviglia».
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