Il New York Times racconta la cooperativa sociale di Caserta che aiuta le migranti vittime di sfruttamento

Il New York Times racconta la cooperativa sociale di Caserta che aiuta le migranti vittime di sfruttamento
Lunedì 4 Maggio 2015, 16:30
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CASERTA- Si chiama New Hope: un nome internazionale che in italiano significa nuova speranza. Nuova speranza per le donne immigrate, nigeriane per lo più, che da sole o in compagnia dei loro piccoli, arrivano a Caserta e provincia con il sogno di una vita migliore. Ma quasi sempre finisce che l’unica vita che incontrano è sulla strada, sui marciapiedi del Litorale Domizio.





Una vita che conosce solo lo sfruttamento: si fugge da un orrore per incontrarne un altro. L’alternativa a questo stato di cose la offre la cooperativa sociale di inserimento lavorativo New Hope (aderente a Federsolidarietà – Confcooperative Campania) che impiega queste donne in lavori sartoriali. Una realtà di spicco, una specie di faro nel buio dell’oppressione e della violenza, di cui si è accorto anche il New York Times, che ha dedicato all’esperienza di questa cooperativa un lungo articolo.



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Il lavoro - In cooperativa le operaie tessono borse, coperte, astucci, zainetti e tanto altro con tessuti etnici. Oggetti pregiati non solo per i materiali, ma anche per il valore che sottendono. Sono il frutto dell’integrazione e del valore di ciascun essere umano. In questi anni la cooperativa New Hope ha creato opportunità di lavoro e di formazione al lavoro per centinaia di ragazze vittime di tratta, riconoscendo loro il diritto di partecipare attivamente alla vita sociale del territorio. In una località spesso agli onori della cronaca per fatti di cronaca nera, New Hope viaggia contro corrente. La cooperativa, nel tempo, si è elevata a vero e proprio presidio di legalità e di battaglie socio-culturali. Una piazza aperta, dove il valore dei rapporti umani prescinde dalle differenze di cultura, religione e colore della pelle. Un luogo simbolo dove si sperimenta una nuova forma di economia: un'economia dell'inclusione e non dell'esclusione, un'economia di accoglienza e non della repressione, una economia non del profitto fine a se stesso ma delle relazioni.

La storia- Erano gli anni Novanta, il 1995 per la precisione.



Un gruppo di suore Orsoline arriva a Caserta da Vicenza con un desiderio: occuparsi delle donne, soprattutto straniere, che approdavano nella città campana con la solita umanissima speranza: una vita migliore. Le religiose, ed una in particolare suor Rita Giaretta, uscivano per strada, andavano nelle carceri, alla ricerca di quelle ragazze. Consegnavano loro un vasetto di primule. Solo un gesto come a dire “noi ci siamo”. Inizia presto una storia diversa dall’orrore: apre Casa Rut, una comunità per le vittime della prostituzione e per i loro bambini. Finché suor Giaretta e le altre comprendono che l’accoglienza non basta. Ci vuole il lavoro: solo il lavoro libererà le ragazze dai loro sfruttatori, rendendole autonome. Nasce così New Hope. A coadiuvare suor Rita Giaretta, una comunità religiosa e una rete di volontari religiosi e laici.



A cura di “Comunicare il Sociale”

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