Scioperi contro i turisti, va riformata la giungla dei sindacati

di Giuseppe Berta
Venerdì 24 Luglio 2015, 23:52 - Ultimo agg. 25 Luglio, 00:05
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Non si vorrebbe più dover commentare episodi come quello che si è ripetuto ieri per l’ennesima volta a Pompei, sintomo dello stato di crisi permanente in cui versano le strutture di un Paese che troppi ormai, e non soltanto chi lo osserva dal di fuori, giudicano irriformabile. Come è possibile che proprio una parte di coloro che lavorano in quello straordinario gioiello del nostro patrimonio storico e artistico costituito da Pompei non capisca di deteriorare e svilire, col proprio comportamento, una ricchezza straordinaria dell’Italia?

Nessuno, a questo punto, può più ignorare il valore che tale patrimonio attiva per un Paese che potrebbe trarre uno straordinario vantaggio dalla situazione d’oggi del turismo internazionale. Saremmo potenzialmente in grado di intercettare una quota crescente dei flussi turistici che si dirigono verso il Mediterraneo, dove altre regioni sono turbate da un’elevatissima turbolenza, se solo adottassimo comportamenti coerenti. Invece no: ieri un’assemblea sindacale ha ancora bloccato l’accesso a Pompei, per giunta con la motivazione di dover decidere assetti e condizioni tali da migliorare l’efficienza e i costi di funzionamento dell’area archeologica. Una giustificazione che suona come un paradosso beffardo, in una giornata che sembra aver voluto condensare tutte le contraddizioni della nazione in cui viviamo.

L’assemblea di Pompei è avvenuta in contemporanea con l’agitazione dichiarata dall’Anpac, che ha colpito l’Alitalia, causando la cancellazione di sessanta voli a Fiumicino e, soprattutto, riportando un’altra volta alle cronache i disagi dello scalo aeroportuale di Roma. L’Anpac ha sostenuto di dover promuovere la mobilitazione per contrastare la riduzione dei posti di lavoro. Ma siamo davvero sicuri che il modo migliore per difendere l’occupazione stia nell’aggredire la funzionalità dell’Alitalia nel vivo della stagione turistica? Dopo le traversie degli anni passati, non dovrebbe essere prioritario riattivare il trasporto aereo, recuperando la fiducia dei viaggiatori?

Per fortuna, l’immagine sindacale riflessa dagli avvenimenti di ieri non è tutta consegnata al rilevante potere d’interdizione che mantengono gruppi ristretti, preoccupati in primo luogo di mantenere la loro influenza. La firma dell’accordo per la Whirlpool dimostra che la strada del negoziato è percorribile e può dare risultati, quando essa muova dalla volontà di arrivare alla soluzione razionale di problemi cruciali. Se si è arrivati alla firma di un’intesa che qualche mese fa appariva così difficile da sembrare improbabile, se non addirittura impossibile, non dovrebbe essere più arduo trovare delle modalità che consentano ai servizi pubblici di funzionare meglio, nell’interesse del pubblico e degli stessi lavoratori. Infatti, se la capacità di mediazione negoziale permette di approdare alla conciliazione degli interessi delle imprese e dei lavoratori, non si vede perché non possa applicarsi all’interno dell’amministrazione, dove – almeno in linea di principio – dovrebbe essere più semplice raggiungere soluzioni condivise. E invece proprio le cronache di ieri stanno a dimostrare che non è così.

Il nostro Paese evidentemente non riesce a darsi delle regole che sappiano rendere meno accidentate le relazioni sindacali. A partire dalle regole relative alla rappresentanza, che dovrebbero servire a stabilire quali soggetti possano esercitare le responsabilità negoziali. Che ne è di quell’accordo sindacale sulla rappresentanza del 2013, sbandierato un po’ da tutti con parole enfatiche, che avrebbe dovuto porre termine alla confusione contrattuale? In concreto, non è servito a nulla: salutato come un accordo storico, di quelli che fanno epoca, è rimasto sulla carta, totalmente inapplicato. Qualcuno rammenterà persino che il compito di dare una certificazione alla rappresentatività effettiva delle varie organizzazioni sindacali era stato affidato al Cnel, un’istituzione di cui in seguito è stata decretata la soppressione.

La sfera sindacale non può più essere lasciata a se stessa. I suoi attori stanno purtroppo dimostrando di non essere capaci di mettere mano a un sistema di regole che conduca a disciplinare fenomeni come quelli delle assemblee di Pompei, utili soltanto a tenere in ostaggio i turisti. E non vale l’obiezione relativa alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori: essi non verrebbero certo intaccati dall’adozione di procedure che pongano fine al caos e alla frammentazione sindacale. Al contrario, la disciplina della rappresentanza sindacale darebbe più autorità ai (veri) soggetti negoziali, sgombrando il campo dalle organizzazioni ben più interessate a tutelare i rappresentanti che coloro che dovrebbero rappresentare.

Non è in questo modo che si esercita un’efficace tutela del lavoro. Come possono testimoniare le vittime del terribile incidente di Bari, autentico specchio delle contraddizioni di un Paese che troppo spesso si riempie la bocca dei diritti dei lavoratori, mentre in realtà lasciano che si verifichino disastri come quello occorso nella fabbrica di fuochi d’artificio.