Salva una fabbrica e 300 posti di lavoro: il viceministro de Vincenti si commuove

Salva una fabbrica e 300 posti di lavoro: il viceministro de Vincenti si commuove
di Diodato Pirone
Mercoledì 17 Dicembre 2014, 21:30 - Ultimo agg. 21:43
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Le ultime lacrime di governo che tutti ricordiamo sono quelle di Elsa Fornero, la ministra del Lavoro del governo Monti che si commosse a fine 2011 annunciando il blocco della scala mobile per le pensioni più alte.

E giù titoloni, grandi foto in primo piano, polemiche. La solita Italia emotiva, superficiale e irrispettosa nel suo cinico sbattere un sentimento in prima pagina.

Tutto il contrario di quanto sta accadendo in queste ore con altre lacrime di governo. Riservatissime questa volta ma , come vedremo, non meno significative e per tantissimi motivi.



A piangere in pubblico stavolta è stato un uomo: il viceministro allo Sviluppo Claudio De Vincenti. "E chi è?" è la domanda che si porranno moltissimi lettori. De Vincenti è un economista e professore universitario di sinistra, poco noto alle cronache perché è uno che preferisce lavorare senza alzare la voce e senza andare in tv, non fa il demagogo e, da anni, si occupa di una missione importantissima ma ignorata dalla grande stampa e dalla tv italiana che ormai è tutta concentrata sulla politica politicante. De Vincenti si occupa di lavoro, anzi di posti di lavoro perché cerca di salvare in qualche modo le tante fabbriche italiane in crisi.



Le lacrime del viceministro hanno un grande valore innanzitutto perché sono vere. Ieri - in una triste sala del suo ministero e senza sapere di essere ripreso da un telefonino - De Vincenti ha pianto perché è riuscito a strappare un triplo risultato strategico (parola "pesante"che il "prof-ministro" non a caso usa nel video che correda questo articolo) per ciò che resta dell'economia italiana.



Innanzitutto ha salvato una fabbrica - la ex Irisbus di Valle Ufita - che consentirà all'Italia di mantenere una discreta produzione di autobus, cioè di mezzi ad alto valore aggiunto che servono come il pane nelle nostre città ma che importiamo in gran numero; poi, anzi soprattutto, ha ridato un buon futuro, con posti fissi, a 300 operi che stavano per finire in mezzo a una strada o a carico dela collettività per chissà quanti anni; infine ha ottenuto tutto questo in una realtà ad alta disoccupazione come la provincia di Avellino.



E poi le lacrime di De Vincenti hanno un grande valore perché sono figlie di una grande storia italiana. Quella di una nazione che, nonostante la Grande Crisi, resta il secondo paese manifatturiero europeo. Di un paese che con le fabbriche ha costruito quel poco di benessere cui resta aggrappato e che conserva un importante "popolo delle fabbriche", fatto da operai, impiegati, manager e padroni italiani e non. E infatti a salvare gli operai irpini della ex-Irisbus (un'azienda Fiat che vendendo la fabbrica ha scelto di non mettere i bastoni fra le ruote a potenziali concorrenti) saranno capitali cinesi di una società che si chiama King Long.



E infine quelle lacrime acquistano valore perché arrivano al culmine di una battaglia combattuta in grande solitudine da De Vincenti e dagli operai. Diciamo la verità: agli italiani (e dunque non solo al nostro sistema di informazione) delle fabbriche non gliene importa granché tranne di quella dove lavorano. Avete letto o visto da qualche parte la storia di questi 300 operai e della loro fabbrica di autobus? "Nessuno se n'è occupato neanche i politici locali e persino per il sindacto si è trattato di un caso minore", scriveva ieri il sito avellinese Orticalab.it che invece ha seguito il caso passo passo e ha "scoperto" le lacrime di De Vincenti. Titolandole per quello che sono: una lezione per l'Italia.