Criscuolo: «La società cambia, riformare è una necessità»

Criscuolo: «La società cambia, riformare è una necessità»
di ​Pietro Perone
Venerdì 21 Novembre 2014, 08:52 - Ultimo agg. 17:35
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Roma. Ragiona delle troppe leggi varate e repentinamente cambiate senza che ci sia stato il tempo necessario «per rodarle» e invita la politica, impegnata nella riforma del diritto processuale anche civile, a fare presto ma soprattutto «bene». Il neo presidente della Corte costituzionale Alessandro Criscuolo, per la delicatezza del ruolo, ha molti limiti per esprimere fino in fondo il proprio parere su temi che presto arriveranno al vaglio della Consulta.



Vasto è il campo delle questioni in attesa di essere esaminate nei prossimi tre anni: dagli interrogativi legati alla bioetica, al diritto di famiglia, passando alla legge elettorale per le Europee, chiamata in causa su iniziativa dell’avvocato Felice Besostri, lo stesso che ha promosso la questione di legittimità che ha portato allo smantellamento del Porcellum. Infine sul tavolo della Consulta arriverà la pratica di ammissibilità del referendum leghista per abrogare la legge Fornero.



Un mandato impegnativo e lungo quello di Criscuolo, come non si vedeva da tempo dopo i molti presidenti eletti e repentinamente andati in pensione per raggiunti limiti di età, come nel caso di Giuseppe Tesauro, anch’egli napoletano, che ha passato il testimone l’11 novembre scorso.



Napoletano del Vomero, 77 anni, l’ex giudice di Cassazione ci riceve nel suo studio a pochi metri dal Quirinale il giorno del verdetto del Consiglio di Stato che lascia al proprio posto il sindaco de Magistris, colui che proprio Criscuolo difese nel procedimento disciplinare per le inchieste di cui era stato l’artefice quando ancora era un pm della Procura di Catanzaro.



La Corte costituzionale é una delle poche certezze di un Paese che vive mille difficoltà. La sua sarà una presidenza lunga, quale dovrà essere il ruolo dell'istituzione che dirige rispetto anche a una Costituzione che molti vorrebbero riscrivere in larga parte?

«Il nostro era, e resta, essenzialmente un ruolo di garanzia e poi di attuazione della Costituzione perché proprio attraverso il nostro lavoro i precetti della Carta si traducono in risultati concreti. Si consideri il contributo dato 1956 a oggi in tanti rami del sapere oltre che su diversi aspetti della scienza giuridica. Si può fare un esercizio di memoria e immaginare come sarebbe stato l’ordinamento italiano se non ci fosse stata la Consulta».



Bisognerà dunque interpretare sempre più i cambiamenti della società?

«Interpretarli e rafforzare le norme tenendo sempre presente che la Carta costituzionale rimane il solo punto di riferimento del nostro lavoro».

Una Carta attuale o che mostra i segni del tempo?

«La prima parte è tuttora validissima; la seconda, quella che riguarda in particolare l’apparato istituzionale, può giustificare degli interventi correttivi che però non devono stravolgere l'assetto generale. Siamo e dobbiamo restare, secondo me, una repubblica parlamentare».



E anche bicamerale?

«Questa è una scelta che spetta al Parlamento e non posso entrare in un campo che non è di mia competenza».



Ma la Stato italiano é stato concepito su due Camere, un bilanciamento di poteri che con la modifica del Senato potrebbe venire mancare.

«Il punto di partenza è stato il bicameralismo, ma bisogna anche tenere conto che la vita oggi è diventata veloce e servono strumenti più snelli, più agili. Una riforma in questo senso potrebbe non essere un fatto negativo».



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