Legge, morale e falsi sacerdoti dell'antimafia

Legge, morale e falsi sacerdoti dell'antimafia
di Alessandro Barbano
Mercoledì 27 Maggio 2015, 11:31 - Ultimo agg. 21:57
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Uno pari e palla al centro. La politica ha provato a scaricare sulla giustizia la sua mancanza di coraggio. E la giustizia - che in questo caso non ha accettato una supplenza altre volte gradita - le ha rimesso in mano la patata bollente. Dove la patata bollente è la legge che porta la firma dell’ex guardasigilli Severino, ma che dovrebbe chiamarsi più correttamente legge degli ipocriti, perché fu proposta dall’ex ministro dell’interno Cancellieri e votata nella stagione del governo Monti da quasi tutti i partiti, preoccupati di non essere scavalcati dalle pressioni del giustizialismo, di cui tra gli altri era protagonista, insieme ai grillini, il movimento di De Magistris e Ingroia.



La legge trasforma un criterio condivisibile di opportunità - quello di mettersi da parte in attesa della conclusione di un giudizio - in un’esclusione automatica, che ha un contenuto punitivo per il singolo amministratore e che entra a gamba tesa nel campo di gioco della politica, il cui vero giudice naturale dovrebbe essere il cittadino elettore. Con la medesima ipocrisia, la politica chiede oggi ai magistrati di disapplicare la legge che è diventata un ostacolo, ma che non si ha il coraggio di correggere perché il clima, soprattutto a sinistra, è sì cambiato, ma non quanto basta per sfidare gli umori di una certa piazza, ancora in bilico tra Grillo, Saviano e il riformismo istituzionale. E i magistrati rispondono che no, non toglieranno le castagne dal fuoco alla politica.



Perché quella legge non può essere sospesa con un colpo di bacchetta magica dal presidente di un Tar, ma deve essere valutata da un tribunale ordinario, in tempi e forme più complesse. Si tratta di diritti, e con i diritti non si gioca. Così, come spieghiamo nelle pagine interne, il rischio di un inedito infarto istituzionale pesa sul destino delle elezioni della Campania a cinque giorni dal voto.



Di fronte a quest’accelerazione drammatica, fa sorridere, se non piangere, la figuraccia della commissione parlamentare Antimafia. Che ieri si è riunita per approvare a maggioranza un singolare elenco di candidati «impresentabili», presenti nelle liste elettorali. Ed è inciampata in un flop istituzionale e mediatico senza precedenti, tra fughe di notizie e atti istruttori incompleti. Sulla base di quale legge o di quale altra investitura, una ristretta cerchia di parlamentari, ancorché forniti di parziali poteri di indagine, interviene a gamba tesa alla vigilia delle elezioni per dire ai cittadini chi non va votato? La patente di «presentabilità» è una categoria del diritto? Ma allora non bastano le leggi? Si fonda sulla morale? Ma allora i commissari antimafia sono i nuovi sacerdoti della società civile?



Si fonda, come sostengono alcuni di loro, su un codice etico-politico, approvato da se stessi, e che intendono imporre ai partiti in nome di una pretesa autorità istituzionale? Ma allora l’intera democrazia italiana è sotto la tutela della commissione antimafia? Sembrerà strano, ma quando la politica arriva a un tale esempio di debolezza e di protervia, al cittadino non resta che il voto. L’umile rimedio per proteggere una democrazia imperfetta contro tutti quelli che la vorrebbero perfetta. E che sono da sempre i più pericolosi, cioè i veri impresentabili.