Lo Porto, le ultime parole alla mamma: «Non temere, lì ci rispettano»

Lo Porto, le ultime parole alla mamma: «Non temere, lì ci rispettano»
di Lucio Galluzzo
Venerdì 24 Aprile 2015, 06:33 - Ultimo agg. 08:15
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La speranza di riabbracciare il figlio non l'aveva mai abbandonata. Ma ieri, dopo 3 anni e 3 mesi angosciosi, Giusy, 66 anni, ha appreso dal governo che il suo “Giancarlo” (così in famiglia era chiamato Giovanni), rapito a Multan (Punjab-Pakistan) il 19 gennaio del 2012, non tornerà più a casa.



Nell'appartamento al piano rialzato di una palazzina di via Pecori Giraldi, a Brancaccio - nella stessa via in cui Boris Giuliano trovò un covo di Leoluca Bagarella - la madre del cooperante ucciso dal fuoco amico, è circondata dai figli, dai parenti intimi, da alcune amiche e vicine di casa. «È distrutta, non vuole parlare con nessuno - dice Rosa Lo Nardo, che la conosce da 38 anni - chiede a tutti di lasciarla sola con il suo dolore. La speranza di riabbracciare il suo ragazzo non l'aveva abbandonata, era anzi cresciuta dopo il rilascio, sei mesi fa, di un collega tedesco del figlio. Il dolore in questi tre anni l'ha macerata, l'ho vista cambiare anche fisicamente».

IL COMMIATO

«Mi raccomando stai attento a te, non farmi stare in pena», erano state le ultime parole di Giusy al figlio, abbracciato mentre lasciava Palermo, 10 giorni prima del trasferimento con destinazione Multan, la città del Pakistan che confina con l'Afghanistan, per lavorare al recupero di aree flagellate da inondazioni del 2011, secondo un programma messo a punto dalla Ong tedesca Welt HungerHilfe (Aiuto alla fame nel mondo). «Stai tranquilla, mamma, noi andiamo ad aiutare, ci rispettano» rispose lui. Parole di un figlio davanti agli occhi lucidi della madre. Lo racconta Gina, anche lei della stretta cerchia di amicizie.



LA MADRE DISPERATA

Giusy, la madre disperata, ha vissuto anche altri dolori. La donna è divorziata da 15 anni. Suo marito da molti anni risiede con Daniele, uno dei 5 figli, a Pistoia. Con la madre erano rimasti oltre a Giovanni, Giuseppe e Nino, che battono le strade di Brancaccio a vender pesce su una moto Ape. E poi c'è Marcello, ma Rosa dice, con qualche imbarazzo «dove sia io non lo so». Altri amici, che escono di casa, si lasciano sfuggire che «Marcello è altrove, ma almeno è vivo». Avere un ragazzo in carcere è esperienza che accomuna purtroppo tante famiglie di questa fetta di Palermo.



Studiando, “Giancarlo” era riuscito a uscire fuori dalla logica di Brancaccio, ad affrancarsi dalla cultura della Borgata, a impadronirsi della propria vita. Dopo la laurea in Scienze politiche era volato a Londra con una borsa di studio, per un master al Met centrato sui conflitti «a bassa intensità» contemporanei nel mondo.



L'AMICIZIA DI SARAH

Al Met, Giovanni Lo Porto era benvoluto dai colleghi, e Sarah Neal, con la quale aveva una stretta amicizia, era in prima fila nel premere sulle istituzioni della Gran Bretagna. «Sono incredibilmente preoccupata per lui - aveva detto al Guardian - sono passati già 22 mesi e non abbiamo modo di sapere come i suoi carcerieri lo trattano. Lo rivoglio indietro». Tra i docenti del corso frequentato da Giovanni, Mike Newman aveva condiviso le preoccupazioni di Sarah Neal e si era impegnato, attraverso i media, a tenere viva l'attenzione sul cooperante. «Quando Giovanni fu rapito - dice il professor Newman - speravamo che potesse essere restituito alla libertà attraverso una diplomazia discreta. Ma il trascorrere del tempo senza risultati ci fece comprendere che bisognava agire, come chiedevano anche gli amici e sostenitori italiani, schierati per la rottura del silenzio». Il docente ricorda anche le sue parole nell'ultima telefonata: «Sono contento di essere tornato in Asia e in Pakistan. Amo la gente, la cultura e il cibo di questa parte del mondo». E Newman aggiunge: «Il Pakistan era il suo vero amore e sentiva di aver operato bene, stabilendo buoni rapporti con la popolazione. Il suo approccio era appassionato, amichevole, la sua mente aperta». L'esperienza a Multan, per altro, faceva seguito ad un rodaggio vissuto in Centrafrica e nell'Haiti sgretolata da terremoto e pestilenze.