Meredith, Amanda pensa alla richiesta di risarcimento. Le critiche sul test del dna

Meredith, Amanda pensa alla richiesta di risarcimento. Le critiche sul test del dna
Sabato 28 Marzo 2015, 14:12 - Ultimo agg. 14:24
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«Ancora non abbiamo affrontato l'argomento ma è evidente che Amanda ha scontato un anno di ingiusta detenzione. È stata condannata a tre anni per calunnia, ma lei ne ha scontati quattro. Valuteremo quindi la possibilità di richiedere il risarcimento per un anno di ingiusta detenzione». Così l'avvocato Carlo Dalla Vedova, che insieme a Luciano Ghirga ha difeso Amanda Knox, parla della possibilità che la giovane americana possa chiedere di essere risarcita dallo Stato italiano dopo che la Corte di Cassazione l'ha assolta con formula definitiva insieme all'ex fidanzato Raffaele Sollecito per l'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia la sera del primo novembre del 2007.



Per Amanda e Raffaele «è molto facile che si arrivi al massimo dell'indennizzo riconosciuto per l'ingiusta detenzione, che è pari a 500 mila euro. Questo anche in base al solo criterio di calcolo numerico, al quale è da sommare sicuramente una serie di elementi aggiuntivi», dice il penalista, Beniamino Migliucci.



I due difensori sono quindi tornati a esprimere soddisfazione per la sentenza che ha assolto la Knox e Raffaele Sollecito dall'accusa di avere ucciso Meredith Kercher. Gli ex fidanzati hanno trascorso quasi quattro anni in cella prima di essere assolti e scarcerati dalla Corte d'assise d'appello di Perugia. Alla Knox sono stati comunque inflitti tre anni per calunnia a carico di Patrick Lumumba.



«Amanda ha sempre inteso tornare in Italia, anzi a Perugia. Già dopo la prima assoluzione avrebbe voluto. Non ne abbiamo ancora parlato compiutamente, ma questa è sicuramente un'ipotesi possibile», dice poi Dalla Vedova.



A giocare un ruolo decisivo nell'assoluzione di Knox e Sollecito sono stati probabilmente i forti dubbi sulla validità dei test del Dna eseguiti durante le indagini. A criticare le conclusioni degli investigatori italiani, ricorda la rivista New Scientist, sono stati diversi esperti su entrambe le sponde dell'Atlantico. In particolare a incriminare i due erano tracce di Dna trovate su un coltello nell'appartamento di Sollecito, sul cui manico c'era materiale genetico di Amanda mentre sulla lama c'era quello di Meredith. Su un ferretto del reggiseno della ragazza uccisa c'era invece il Dna di Sollecito.



Nel 2009 una lettera di un'associazione di esperti statunitensi aveva scritto una lettera aperta alla corte mettendo in dubbio le conclusioni dei test. «Un esame chimico per la presenza di sangue sul coltello ha dato esito negativo, ma non è stato preso in considerazione - era scritto nella lettera dell'associazione The Innocence project -. Inoltre il Dna trovato era sufficiente solo per un profilo parziale».



Se non c'erano tracce di sangue sul coltello, hanno sempre sottolineato quindi anche gli altri scienziati innocentisti che si sono interessati alla vicenda, come Bruce Budowles, genetista dell'università del North Texas e consulente dell'Fbi, non era possibile che quella fosse l'arma del delitto. Gli esperti Usa hanno anche paventato la possibilità che i campioni fossero contaminati, soprattutto perché l'analisi è stata condotta insieme a quella di altri reperti.



Ad essere criticata è stata anche la lettura data dei risultati. Negli Usa infatti l'elettroforesi, questo il nome del test, viene considerata valida se dà picchi sopra 150, mentre quelli sotto 50 vengono scartati, e quelli presi in esame per l'accusa erano tutti sotto questo livello. Anche il reggiseno, hanno scritto gli esperti Usa, conteneva diversi Dna di cui uno compatibile con Sollecito, «ma i giovani si frequentavano, quindi potrebbe essere finito lì in diversi modi innocenti».



Alla stessa considerazione sono arrivati Stefano Conti e Carla Vecchiotti della Sapienza di Roma nel 2011, che hanno contestato anche il metodo stesso seguito per le analisi che non sarebbe stato adatto a piccoli quantitativi di Dna, mentre secondo Carlo Torre, perito nominato dalla difesa, anche le ferite sul collo di Meredith non erano compatibili con la grandezza del coltello.



«La nostra posizione si è chiusa nel 2010. Questo non è il momento di Rudy Guede»: a parlare così è infine l'avvocato Nicodemo Gentile, uno dei difensori dell'ivoriano che sta scontando una condanna ormai definitiva a 16 anni di reclusione per l'omicidio della ragazza inglese. È stato infatti il solo ad avere scelto il processo con il rito abbreviato. «Questo - ha sottolineato l'avvocato Gentile - è il momento di rispettare le sentenze e le persone che ne hanno beneficiato». Guede è attualmente rinchiuso nel carcere di Viterbo. Dopo la sentenza che ha definitivamente assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito l'ivoriano rimarrà l'unico responsabile dell'omicidio Kercher.