Usa, Obama regolarizza cinque milioni di immigrati: «Non è un'amnistia di massa»

Usa, Obama regolarizza cinque milioni di immigrati: «Non è un'amnistia di massa»
di Anna Guaita
Venerdì 21 Novembre 2014, 00:56 - Ultimo agg. 23:06
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NEW YORK – Essere implacabili con chi si è macchiato di crimini, essere compassionevoli con chi ha vissuto onestamente anche se da clandestino. Questo il messaggio che ieri sera Barack Obama ha cercato di dare nel discorso con cui ha presentato la sua riforma dell’immigrazione.



«Un’amnistia di massa non sarebbe giusta, ma una deportazione di massa non sarebbe possibile e sarebbe anche contraria al nostro carattere nazionale» ha spiegato Obama, che ha ricordato come l’immigrazione sia «nel tessuto della Nazione» e abbia reso l’America «giovane e dinamica».



La sua soluzione, la più importante riforma dall’epoca del presidente Ronald Reagan negli anni Ottanta, consiste nell’offrire una “tregua” di tre anni ai clandestini che vivano negli Stati Uniti da almeno cinque anni e che abbiano bambini nati nel Paese (e quindi siano cittadini) o siano imparentati con qualcuno che abbia il permesso di soggiorno: «Se rispondete a questi requisiti, venite alla luce, mettetevi in regola con la legge» ha invitato.



Obama ha presentato un decreto che dovrebbe aiutare circa 5 milioni di illegali che rischiano di essere deportati, separati dal resto della famiglia, senza avere modo di tornare legalmente. Il suo decreto inoltre rafforza i controlli ai confini per fermare nuovi clandestini, e rende più facile ai laureati che abbiano studiato negli Usa di restare a lavorare qui (provvedimento voluto dalle aziende di Silicon Valley).



Ma non è un decreto permanente e non è onnicomprensivo: è anzi quasi una sfida al Congresso, per costringerlo a non tardare più a mettere ai voti la legge che è pronta da un anno e mezzo, ma è tenuta in frigorifero per le pressioni dell’ala destra del partito repubblicano.
«La legge è passata con un voto bipartisan al Senato, era una legge ragionevole, all’insegna del buon senso - ha ricordato – ma è ferma alla Camera». E a questo punto ha lanciato la sfida al partito di opposizione: «Se non siete d’accordo con quello che ho deciso, avete una strada: passate una legge».



Il suo è stato un discorso diviso in due sezioni: una parte pratica, asciutta e diretta, in cui ha riassunto il contenuto del suo decreto, e una parte molto ispirata, quasi elegiaca, in cui ha ricordato come tanti immigrati siano persone che lavorano, badano alla famiglia, vanno in chiesa,
«e sono parte della vita americana». E poi, per ricordare al pubblico come il Paese stesso sia nato dall’immigrazione, ha citato le Sacre Scritture (Esodo 23) : «La Bibbia ci insegna che non dobbiamo opprimere lo straniero, perché conosciamo il suo cuore: anche noi una volta siamo stati stranieri».



I network avevano rifiutato la programmazione a reti unificate, ma i due canali di lingua spagnola, Univision e Telemundo, lo hanno accolto con entusiasmo, offrendo anche l'immediata traduzione in spagnolo. Non a caso Obama ha scelto la serata di ieri, quando venivano consegnati i Grammy per gli artisti latino-americani: si tratta infatti uno special tv che attira almeno una decina di milioni di spettatori ispanici. Ed era a questo pubblico che Obama voleva rivolgersi, un pubblico al quale aveva fatto tante promesse, tutte mancate, e al quale voleva dire: “Questa volta potete crederci”.



Oggi poi Barack Obama tornerà al liceo di Las Vegas, la Del Sol High School, che per lui ha un significato particolare. L’11 gennaio 2008, quando era ancora un senatore in corsa per la nomination, era arrivato nel Nevada dopo essere stato sconfitto da Hillary Clinton alle primarie del New Hampshire: in quella scuola pronunciò il famoso discorso del “Si se puede”, conquistandosi i numerosi voti della comunità ispanica dello Stato. Quel giorno centinaia di persone riempirono la palestra del liceo – e centinaia aspettarono fuori – mentre il futuro presidente prometteva di occuparsi della questione della cittadinanza per gli immigrati clandestini.



Come si vede, la riforma che Obama ha illustrato ieri sera non è così vasta come aveva eloquentemente immaginato allora, ma è comunque sufficiente per mandare su tutte le furie il partito repubblicano.
Difatti prima ancora della presentazione del decreto il Grand Old Party aveva già accusato il presidente di volersi spingere ben oltre i suoi poteri. Per Jeff Sessions, senatore dell'Alabama con un profondo impegno contro l'immigrazione clandestina Obama
«non ha l'autorità per garantire lo legalizzazione di persone dichiarate fuorilegge dagli Stati Uniti».



Lo speaker della Camera, John Boehner, lo ha addirittura tacciato di comportarsi da “imperatore” neanche due settimane dopo essere stato sconfitto alle elezioni di metà mandato (che effettivamente hanno visto una forte affermazione repubblicana sia alla Camera che al Senato).



E sarà questo punto a generare le sfide, magari fino in tribunale. Quanto potere ha davvero Obama e fino a che punto può governare con le “executive actions”? E’ un dibattito vecchio come la democrazia americana, che vede i due partiti impegnati ad attaccare i poteri esecutivi del presidente o a difenderli a seconda di chi segga alla Casa Bianca. Ma è una realtà storica che tutti i presidenti dal Dopoguerra ad oggi hanno fatto ricorso ai decreti, inclusi Ronald Reagan e George Bush senior, proprio per l’immigrazione. E comunque, a sentire la Casa Bianca, numerosi esperti costituzionali sono stati interpellati per dare il via libera alle proposte presidenziali, tant’è che ci sono anche capitoli – come i permessi per gli stagionali dell’agricoltura – che non sono contenuti nel decreto proprio perché i legali hanno sancito che essi “non rientrano nell’autorità del presidente”.
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