Manovra, un tetto alle pensioni d’oro
per alti funzionari e magistrati

Manovra, un tetto alle pensioni d’oro per alti funzionari e magistrati
di Luca Cifoni
Lunedì 24 Novembre 2014, 22:20 - Ultimo agg. 25 Novembre, 21:21
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ROMA - Anche se per molti lavoratori la riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero è qualcosa che ricorda da vicino una piaga biblica, c’è qualcuno che con le regole introdotte nel 2011 dal governo Monti ha invece tutto da guadagnare.



E siccome questo qualcuno è spesso un magistrato o un docente universitario o un alto funzionario dello Stato, ossia sommariamente parlando un futuro titolare di pensione d’oro, il governo ha deciso di intervenire per fissare un tetto al suo futuro assegno. Il correttivo dovrebbe essere inserito con un emendamento alla legge di Stabilità, ma con tutta probabilità sarà calibrato per evitare effetti collaterali negativi per coloro che per effetto della stessa riforma - ed in particolare all’abolizione della pensione di anzianità - sono stati costretti a restare al lavoro più di quanto avrebbero desiderato.



Il ritocco alle regole pensionistiche con le quali sono stati messi in sicurezza i conti della previdenza, nasce da una segnalazione dell’Inps ed è fortemente voluto dalla presidenza del Consiglio, che sarebbe pronta a muoversi anche senza attendere una precisa quantificazione degli effetti finanziari da parte della Ragioneria generale dello Stato. Tuttavia data la delicatezza della materia, i dettagli sono ancora da definire. Tutto nasce dalla norma inserita nel “decreto salva-Italia” che prevedeva il passaggio al sistema di calcolo contributivo della pensione anche per i lavoratori che all’inizio del 1996 (ossia all’entrata in vigore della riforma Dini) avevano già 18 anni di carriera. Originariamente nello stesso comma era stata inserita una clausola di salvaguardia, che recitava così: «il complessivo importo della pensione alla liquidazione non può risultare comunque superiore a quello derivante dall’applicazione delle regole di calcolo vigenti».



Ossia quelle basate sul sistema di calcolo retributivo, in virtù del quale con 40 anni di contributi si raggiunge il massimo dell’assegno (pari all’80 per cento della retribuzione pensionabile): gli ulteriori eventuali anni di lavoro non fruttano alcun aumento e sono per così dire regalati al sistema.



Con il contributivo invece continuare a lavorare dopo i 40 anni può convenire, in particolare per categorie che avendo la possibilità di restare in servizio fino ai 70 anni e oltre, riescono a mettere insieme un assegno previdenziale pari anche al 100 per cento della retribuzione e oltre. C’è però un problema: ripristinando semplicemente la clausola originaria si colpirebbero anche quei lavoratori che - con stipendi del tutto ordinari - sono costretti dalle nuove regole a restare al lavoro anche dopo i 40 anni di contributi. Per evitare di beffarli, azzerando il rendimento dei loro contributi, il tetto sarebbe adeguato all’attuale requisito per la pensione anticipata, 42 anni e mezzo per gli uomini e 41 e mezzo per le donne.



IL RAPPORTO DELL’UPB

Sulla manovra è intanto arrivata la valutazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), che nel suo rapporto ne convalida la struttura fondamentale pur avanzando dubbi e osservazioni in particolare sulle sottostanti stime di crescita e sull’incremento della pressione fiscale. La struttura presieduta da Giuseppe Pisauro osserva che la previsione del governo (aumento del Pil dello 0,6 per cento nel 2015) rischia di essere minata da un risultato finale di quest’anno inferiore alle attese, oltre che da alcuni fattori esterni. L’Upb è inoltre molto scettico sulla possibilità di quantificare gli effetti delle riforme strutturali; relativamente alla pressione fiscale fa notare come con lo scatto degli aumenti Iva dal 2016 questa salirebbe ai massimi dal 1995 (43,6 per cento).



Infine l’Agenzia del Demanio ha avviato la nuova ricognizione dei costi degli immobili (utenze e gestione) che dovrà portare il prossimo anno a ridurre la spesa.
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