Stato-mafia, la soddisfazione di Napolitano dopo le amarezze: pubblicare tutto

Giorgio Napolitano
Giorgio Napolitano
di Paolo Cacace
Mercoledì 29 Ottobre 2014, 06:06 - Ultimo agg. 08:33
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Le preoccupazioni, i dubbi della vigilia non erano pochi. Si temeva che la disponibilità di Giorgio Napolitano ad ampliare lo spettro della sua testimonianza davanti ai giudici di Palermo convenuti in un Quirinale blindato potesse trasformarsi in un boomerang atto a favorire chi perseguiva unicamente lo scopo di una spettacolarizzazione dello storico evento. Invece, il capo dello Stato ha risposto senza incertezze e tentennamenti a tutte le domande (tranne quelle poche bloccate dal presidente della Corte, Montalto, perché palesemente inammissibili). Per tre ore e mezzo ha tenuto botta dalla sua scrivania, mostrando quella freddezza e quella lucidità che mantiene da sempre nei momenti cruciali della sua attività politica ed istituzionale.



MASSIMA TRASPARENZA

E si comprende quindi la soddisfazione con cui lo stesso Napolitano successivamente ha commentato con i più stretti collaboratori la difficile prova; una soddisfazione, dopo tante amarezze, che emerge anche dal comunicato diffuso subito dopo l'udienza in cui si sottolinea la «massima trasparenza» e «serenità» delle risposte date dal Presidente ai pm e alle parti civili e ai legali degli imputati sulla presunta trattativa Stato-mafia. Una trasparenza che viene rimarcata dal fatto che il capo dello Stato non ha opposto «limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali» né ha mosso «obiezioni riguardo alla stretta pertinenza dei capitoli di prova ammessi dalla Corte». Insomma, chi sperava in un «processo» surrettizio al Presidente è servito.



Napolitano ha detto tutto quello che sapeva o poteva dire sui fatti a sua conoscenza. Non si è trincerato dietro machiavelliche amnesie. Ha dato il suo contributo alla ricerca della verità su quegli anni oscuri della nostra vita democratica. E proprio per questa ragione ora c'è l'energico auspicio alla Corte perché «assicuri al più presto la trascrizione della registrazione» dell'udienza affinché «sia possibile darne tempestivamente notizia agli organi d'informazione e all'opinione pubblica».

Una preoccupazione anche legata all'esigenza di non lasciare troppo a lungo la ricostruzione dell'udienza soltanto ai resoconti delle toghe o degli avvocati presenti, ciascuno ovviamente interessato a coglierne gli aspetti di maggiore utilità e convenienza.



IL CLIMA

Anche se - va detto - la soddisfazione di Napolitano è accentuata dal fatto che sono stati proprio i magistrati (dal procuratore Agueci ai pm Teresi e Di Matteo) a dare atto del clima di collaborazione e di grande serenità che ha contraddistinto la testimonianza presidenziale. In realtà, il capo dello Stato dalla sua scrivania nella sala del Bronzino trasformata in aula giudiziaria, non si è mai irrigidito. E' stato colloquiale e collaborativo. Ha difeso con vigore la memoria del suo consigliere giuridico D'Ambrosio prematuramente scomparso e ha spiegato di non essere mai stato turbato dalle notizie di possibili attentati alla sua persona nel 1993. «Semplicemente - ha spiegato - perché questo faceva parte del mio ruolo istituzionale».



Talvolta ha consultato le carte, non ha mancato di rispondere ironicamente a qualche domanda («Lei pensa che abbia la memoria di Pico della Mirandola!», ha replicato ad un avvocato). In qualche occasione ha addirittura chiesto al Presidente della Corte di poter rispondere ugualmente ad una domanda non strettamente attinente al tema. Certo, la testimonianza - nell'ottica del Colle - se contribuisce ad eliminare tutte le ombre e le strumentalizzazioni che si sarebbero perpetuate di fronte ad un rifiuto di Napolitano di deporre non aggiunge granché di nuovo al quadro investigativo e giudiziario sulla presunta trattativa tra Stato e mafia degli Anni novanta. Ma non poteva essere altrimenti.