Cina e India, inquinatori nel mirino
Ma Dehli: sul carbone non cediamo

Cina e India, inquinatori nel mirino Ma Dehli: sul carbone non cediamo
di Anna Guaita
Lunedì 14 Dicembre 2015, 18:27 - Ultimo agg. 1 Dicembre, 00:49
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Cina, Stati Uniti, Unione Europea e India: questo è il poker dei grandi inquinatori. Da soli questi Paesi sono responsabili del 61 per cento delle emissioni che causano il surriscaldamento della terra. Ma se Usa ed Ue stanno ottenendo qualche serio risultato nella lotta per ridurle, lo stesso finora non si è potuto dire di Cina e India. «Prima viene la crescita economica, poi la pulizia dell'ambiente» è stato negli ultimi due decenni il motto delle nazioni in via di sviluppo. E Pechino e Nuova Dehli hanno rimbrottato aspramente i Paesi avanzati che chiedevano a tutti gli stessi sacrifici sul fronte dell'inquinamento: «Voi siete già cresciuti e siete usciti dalla povertà, ora sta a noi», era la loro risposta.

I NEGAZIONISTI
Come reazione, anche gli Usa sono stati a loro volta restii ad adottare riforme drastiche per salvare l'ambiente. E nonostante l'esistenza di un forte movimento ambientalista, hanno spesso vinto il partito dei “negazionisti”, coloro che pur davanti alla prova scientifica non credono che i cambiamenti climatici siano causati dall'uomo, e il partito degli scettici, che sostengono che penalizzare le industrie americane sarebbe significato spedirle in Cina o in India, dove avrebbero inquinato anche di più.

Tutto ciò sembra proprio sul punto di cambiare, se è vero - come promettono solennemente - che anche Pechino e Nuova Dehli mettono sul tavolo a Parigi l'impegno a limitare anch'esse le emissioni. Il fatto che a Pechino si siano registrati con crescente frequenza giorni in cui il tasso di inquinamento dell'aria arrivava a superare di venti volte il limite di sicurezza ha sicuramente contribuito all'accordo che il presidente Xi Jinping ha stilato con il collega Barack Obama, che impegna i due Paesi ad agire di concerto contro le emissioni inquinanti.

Il fatto che l'India per il 2014 si sia aggiudicata la palma di maggiore inquinatrice mondiale da anidride carbonica, con le sue città irrespirabili quasi come quelle cinesi, è stato un risveglio traumatico che ha convinto il premier Narendra Modi ad accettare la necessità di tagliare l'uso dell'inquinantissimo carbone. Anche se ha ribadito che i paesi poveri hanno diritto a consumarlo e che il cambiamento climatico «non l’abbiamo prodotto noi». Limitare le emissioni costerà, ma anche i più sfegatati sostenitori della «crescita-prima, pulizia-dopo» hanno dovuto ammettere che l'inquinamento sta già costando un prezzo altissimo in termini di salute e durata media della vita, mentre spinge alle stelle la spesa sanitaria e genera crescenti perdite alle aziende per le malattie dei lavoratori.

Non far nulla cioè, o fare troppo poco, sta costando salato. Negli Usa abbiamo visto città devastate da allagamenti, Stati dove l'agricoltura è stata messa in ginocchio da siccità senza precedenti, incendi di immensa vastità. Vediamo la popolazione cambiare per l'arrivo di profughi da isole già mezze sott'acqua: è un fatto poco noto che un decimo della popolazione delle Isole Marshall si è già trasferito negli Usa, e il resto sta facendo le valigie, per l’innalzarsi del livello delle acque dell'Oceano Pacifico.

LA CONSEGUENZA TERRORISMO
E una scuola di pensiero sostiene che anche la guerra civile in Siria e la conseguente esplosione terroristica in Europa sia stata causata dai cambiamenti climatici, dalla siccità delle campagna siriane e la fuga delle popolazioni contadine verso le città, dove la povertà e l’ira hanno causato la rivoluzione contro Assad. Ma a incoraggiare i riformatori sono anche alcuni studi secondo i quali combattere l'inquinamento gioverà all'economia: l'anno scorso uno studio dell' University of Massachusetts Political Economy Research Institute ha sostenuto che scommettere sulle energie rinnovabili potrebbe ridurre la disoccupazione dell'1,5 per cento.
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