Referendu sulla Ue, il no della Grecia sfida l'Europa

Referendu sulla Ue, il no della Grecia sfida l'Europa
Domenica 5 Luglio 2015, 09:13 - Ultimo agg. 6 Luglio, 08:01
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dal nostro inviato

Renato Pezzini

​ATENE - È un voto senza sfumature: il 61 per cento dei greci dice «no» alla bozza di accordo proposta da Bruxelles ad Atene. Molti più di quelli che i sondaggi prevedevano, e molti più di quelli che il timore di una tracollo definitivo del Paese lasciava immaginare. Hanno vinto i «no» in ogni dove, nei quartieri popolari di Atene, e in quelli più ricchi, nelle migliaia di isole elleniche, e nelle roccaforti dell'alta borghesia di Salonicco. E' un «no» all'Europa, per i greci è soprattutto un «no» ad Angela Merkel; è un «sì» non solo agli azzardi di Tsipras e del falco Varoufakis, ma anche a una sorta di orgoglio nazionale ritrovato.

GLI APPELLI

«La democrazia non può essere ricattata» scandisce Alexis Tsipras a urne chiuse a vittoria garantita. .

Mentre arrivano i primi risultati si precipita nel Palazzo della Presidenza del Governo, si attacca al telefono con gli altri leader europei, lo fa col piglio di chi adesso ha una carta in più da spendere.

Poi dopo molte ore di attesa, va in televisione per esultare, ma anche per tranquillizzare.

Il voto, dice, non «è una rottura con la Ue. I greci hanno fatto una scelta coraggiosa che sarà in grado di cambiare il dibattito in Europa». Varoufakis, il gli dà manforte: «L'uscita dall'Euro non è in discussione».

Tsipras già domani potrebbe volare a Bruxelles. Ha voluto questo referendum per uscire dall'angolo in cui l'avevano messo i diktat della troika e avere in mano un'arma potente da brandire nelle trattative.

Ai greci ha ripetuto che una vittoria del «no» avrebbe reso il Paese più forte, e non più debole. Adesso che ha incassato il risultato vuole fare fretta all'Europa: «Da domani vogliamo sederci di nuovo al tavolo internazionale. Noi siamo pronti ad andare avanti con le riforme per migliorare i nostri conti e la nostra economia, ma vogliamo che queste riforme rispettino il bisogno di giustizia sociale».

In mattinata, in un seggio straripante di telecamere e fotografi, già sentiva il profumo del successo. Magari non lo immaginava così ampio. Camicia bianca, un sorriso di chi è sicuro di sé: «Oggi è una festa della democrazia». Dodici ore dopo la festa della democrazia gli consente di alzare la posta: «Dobbiamo riarticolare la questione del debito». Che poi è ciò che Varoufakis va dicendo da giorni e che ripete anche adesso in tv dove si fa vedere con una maglietta girocollo più informale che mai: «Il nostro debito va ristrutturato». Significa allungare i tempi di restituzione e ridurne l'entità. Argomento che per l'Europa non è mai stato in discussione e non deve essere discusso. Si vedrà.

LO SCENARIO

Nessun accenno agli sconfitti del «sì». Del resto, i partiti che hanno sostenuto l'accordo a ogni costo con Bruxelles non possono neppure parlare di vittoria risicata. Infatti Samaras, ammettendo una débacle inattesa, fa sapere di volersi dimettere da capo dell'opposizione.

Rimane, per Tsipras e il suo governo, una situazione interna da sanare, ferite da lenire, promesse da mantenere. Il primo segnale positivo, dal suo punto di vista, potrebbe arrivare già martedì, giorno in cui secondo le assicurazioni del governo le banche dovrebbero riaprire in modo da cancellare le file ai bancomat che sono state, in qualche modo, l'icona di questi «terribili giorni» di campagna elettorale. Se il razionamento dei contanti (impossibile prelevare più di 60 euro al giorno) dovesse terminare, sarebbe la prova che le paure su cui hanno giocato i sostenitori del «sì» erano infondate. Ma non è detto che la circolazione delle banconote possa riprendere così presto.

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