Pamuk: «L’Europa non isoli la Turchia ma spinga perché ci sia libertà»

Pamuk: «L’Europa non isoli la Turchia ma spinga perché ci sia libertà»
di Guido Caserza
Martedì 1 Dicembre 2015, 11:50 - Ultimo agg. 11:49
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«L’omicidio di Tahir Elçi, è un fatto orribile perché perpetrato contro un uomo pacifico, un eminente rappresentante della causa curda e perché rappresenta un attacco contro la classe intellettuale».

Così Orhan Pamuk, scrittore e intellettuale turco famoso in tutto il mondo, premio Nobel per la Letteratura nel 2006, commenta l’assassinio del presidente dell'ordine degli avvocati di Diyarbakire, città turca a maggioranza curda. «In passato» prosegue Pamuk, «abbiamo assisistito a omicidi di questo tipo, rimasti anonimi. Fanno parte di una precisa strategia politica e ho purtroppo l’impressione che stiamo tornando a quei tempi, proprio nel momento in cui i tentativi di pace con la minoranza curda sono falliti».

A Torino per presentare il suo nuovo romanzo, La stranezza che ho nella testa (ed. Einaudi, pp. 574, euro 22), nell’intervista Pamuk non si è sottratto a domande che riguardano l’attualità politica, prima di parlare del suo romanzo. Signor Pamuk, grazie all’accordo dell’altro ieri a Bruxelles il governo turco riceverà dall’Europa tre miliardi per affrontare la questione dei migranti.

Qual è la sua opinione in merito?
«Mi sono battuto con molta energia, negli anni passati, per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea; per questo ritengo questo accordo un importante passo in avanti per la futura integrazione della Turchia. Le trattative era infatti ormai in una fase di stallo; prima per l’opposizione dei militari, poi per colpa dei nazionalisti, sia europei che turchi. Ora finalmente qualcosa si è mosso ma rimango molto scettico».

Per quale motivo?
«Un motivo per cui le trattative non procedevano era anche che la Turchia è un paese a basso indice di libertà. Ancora recentemente il governo turco era stato stigmatizzato dalla commissione europea per violazione dei diritti umani. Oggi a quanto pare hanno preso il sopravvento le ragioni di realpolitik: si chiede sostanzialmente alla Turchia di diventare una specie di filtro per quegli immigrati indesiderati dall’Unione europea. Se questo può essere positivo, in quanto riapre il dossier Turchia-Europa, l’Europa non deve trascurare l’enorme questione della democrazia e della libertà di espressione. Non basta che la Turchia sia il paese più vicino agli standard europei in termini di reddito pro capite, e non basta che essa diventi il gendarme d’Europa arginando il flusso dei migranti, se al contempo non c’è possibilità nel paese di esprimersi liberamente: gli intellettuali critici sono sottoposti a pressioni formidabili, i giornalisti censurati, aggrediti e incarcerati. Se l’Europa non ottiene dal governo turco maggiore libertà e democrazia, spingerà fatalmente la Turchia verso l’Asia e questa non è una cosa buona per l’Unione».

L’Europa ha bisogno della Turchia. Lei crede che Erdogan abbia veramente bisogno dell’Europa?
«Fino a qualche anno fa il partito di Erdogan era favorevole all’ingresso della Turchia in Europa, a cui chiedeva aiuto agitando lo spauracchio di un golpe militare. Chi si opponeva erano invece i laicisti e i militari. Ora le posizioni si sono pressoché invertite e bisogna riconoscere ad Erdogan di avere avuto il coraggio di non sottomettersi ai ricatti dell’esercito. Proprio la sua conquistata libertà di manovra, il suo essersi svincolato dagli interessi dei militari, lo spinge però a sostenere che oggi la Turchia non ha realmente bisogno dell’Europa. Al contempo l’accresciuto potere lo rende sempre più autoritario: è un uomo che vuole governare da solo. Il problema non è però solo Erdogan, ma la classe dirigente intorno a lui, un partito che vuole controllare l’intera Turchia».