New York, Paula Cooper torna libera dopo la condanna alla sedia elettrica

Paula Cooper (Foto Anna Guaita)
Paula Cooper (Foto Anna Guaita)
di Anna Guaita
Lunedì 17 Giugno 2013, 18:57 - Ultimo agg. 27 Maggio, 15:36
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NEW YORK – E’ tornata libera. Paula Cooper ha 44 anni, è una donna matura, tranquilla e piena di speranze. Non assomiglia più alla giovane assassina disadattata e spaventata che incontrammo per la prima volta 28 anni fa, quando ogni mattina si svegliava pensando "mi legheranno alla sedia elettrica, mi uccideranno, e tutti si dimenticheranno di me".

Salvata dalla morte per la mobilitazione di questo giornale e poi dell’opinione pubblica italiana e soprattutto per un diretto intervento di Papa Giovanni Paolo II presso il governatore dell’Indiana, Paula è uscita dalla prigione di Rockville, un isolato paesino dell’Indiana dove ha trascorso gli ultimi anni, in un regime di grande severità. Lei stessa lo aveva chiesto, per studiare e prepararsi a una vita da persona libera.



Insieme a due amiche, Paula aveva ucciso l’anzia maestra di catechismo Ruth Pelke nel 1985. Era diventata un caso internazionale perché aveva solo 15 anni. La sua vita era stata infelice e violenta, e il terribile omicidio era stato l’espressione orrenda di una gioventù senza guida e senza legge .



Il Messaggero è stato il primo giornale a scrivere di lei in Europa, nel 1987, e a seguire poi le sue vicende. Quando siamo andati a trovarla Rockville, nel 2007, ci disse: "Molti giovani che vivono nella violenza non sono stati e non saranno fortunati come me. La società spesso si disinteressa di loro. Li rinchiude e butta via la chiave. Io ho vissuto tutta la mia infanzia nella violenza, e ho commesso un atto di grande violenza, ma ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada tanta gente che mi ha voluto aiutare. Se non sono impazzita, se non mi sono abbandonata alla disperazione, se ho cercato di trasformare la mia vita in qualcosa di positivo, lo devo a tutti loro".



Paula ha preso il diploma di infermiera in carcere. Ma spera di poter diventare cuoca. In una lettera che ci ha scritto poche settimane fa, raccontava: “Il buon cibo mette allegria nelle persone. Io vorrei imparare a cucinare piatti sani e saporiti. Sarei felice. Ogni volta che posso, leggo riviste di cucina e studio le ricette, e la sera prima di addormentarmi, immagino come potrei cucinarli io stessa”. Ultimamente, per aiutarla, il carcere le aveva permesso di lavorare nelle cucine. La portavoce della prigione ci ha detto ieri: “Abbiamo grande fiducia che Paula diventi un membro produttivo e onesto della società”.



A perdonarla per primo fu il nipote della vittima, Bill Pelke, un operaio che aveva sempre creduto fermamente nella pena di morte. Una notte, mentre lavorava, Bill ebbe una visione di Cristo: “Gesù mi disse che dovevo imparare a perdonare. E ci sono riuscito. Una volta che ho aperto il mio cuore al perdono, ho trovato la serenità”. Bill sostenne pubblicamente Paula, e la ragazzina finì per trovare un forte sostegno nell’opinione pubblica italiana. In suo nome il partito radicale creò il movimento “Non uccidere”. Grazie all’iniziativa dei giovani Ivan Novelli e Paolo Pietrosanti e del sacerdote don Germano Greganti, fu condotta una gigantesca raccolta di firme che si concluse con la consegna di 2 milioni di petizioni alle Nazioni Unite.



Si mosse anche il Pontefice. E piano piano anche gli americani conobbero il caso. E nonostante la crudeltà dell’omicidio, anche negli Usa sembrò anti-cristiano condannare a morte una persona così giovane.



E così Paula ebbe la sentenza mutata in una condanna a 60 anni. Ma lo Stato dell'Indiana offre un giorno in meno per ogni giorno che il detenuto ha tenuto buona condotta. Paula in prigione cominciò male: ribelle, testa dura, irrequieta, in fondo spaventata di tutto e di tutti. Ma poi è cresciuta. Ha chiesto lei stessa di essere mandata al carcere di Rockville, un luogo pulito, solare, pieno di attività e di possibilità di imparare e crescere, ma anche un luogo di estrema severità: “Voglio la disciplina – ci disse – perché voglio prepararmi per il giorno in cui sarò di nuovo libera. Voglio dare un contributo alla società”.



Oggi Paula è libera, o quasi. E’ ospite di una half-way house, una residenza monitorata dalle autorità, dove le verrà anche insegnato come reintrare nella società, sin dalle piccole cose, come cercare un lavoro, come fare domanda di impiego, come aprire un conto in banca, ecc. A fianco ha la sorella Rhonda, che le è sempre stata vicina: “Siamo tutti molto emozionati – ci ha detto al telefono Rhonda, dalla sua casa di Gary -. Paula non ha dimenticato quello che ha fatto, non ha dimenticato il dolore che ha causato. Ma speriamo che da oggi in poi la gente non veda in lei solo l’omicida, ma anche una persona che ha compiuto anno dopo anno un grande sforzo per cambiare e migliorare”.