Salerno, sessant'anni dall'alluvione: il racconto di Alfonso Gatto

Salerno, sessant'anni dall'alluvione: il racconto di Alfonso Gatto
di Alfonso Gatto
Giovedì 23 Ottobre 2014, 13:01
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Sessant’anni dall’alluvione del 25 ottobre 1954. Alfonso Gatto raccontò la tragedia per «Epoca», scritti raccolti da Francesco D’Episcopo in «Dolore per la mia terra» (ed. Avagliano). Ecco una delle sue cronache. «l vecchio priore dell'Annunciata, don Luigi Fanchiotti, è morto da un pezzo. Ai suoi tempi, dopo la controra, metteva la sedia fuor di sagrestia e scambiando poche parole col vicino marmista conveniva sulla bella sera, guardando a monte San Liberatore puro, senza nuvole, con la casetta dell'eremita nitida sulla roccia. San Liberatore senza cappuccio significava e significa per i salernitani bel tempi, tempo da scampagnate e da lunedì dell'Angelo. Da via Spinosa a Canalone, alla Croce, a San Liberatore, i ragazzi che bigiano la scuola sanno d'incontrare solitudine e silenzio. Una volta lassù, la città imminente è pur così lontana e il mare fermo come nell'Estaque di Cézanne tien duro la cerchia azzurra e leggera dei suoi monti da Capo d'Orso alla punta di Agropoli. Alle spalle, sul versante di Alessia e di Marini, la strada scende umana e tranquilla a avvicinare, uno dopo l'altro, paesi raccolti intorno al florido androne della chiesa e del campanile, salvi ancora nel loro carattere di agreste neoclassico che dà a ogni casa l'agio e lo spicco di una dimora. Un'aria ottocentesca ove la borghesia di fine secolo amò ritrovarsi come a un punto d'incontro fra le due vecchie città del reame, vive ancora per queste campagne, anche se le ville son passate di mano e ai medici e agli avvocati post borbonici son succeduti mercanti e bottegai che a poco a poco hanno tolto il verde alle finestre e i busti di marmo ai belvedere. In questa geo- grafia e in questa storia è accaduto il nubifragio. Se aggiungete che con i suoi monti, ancora avanzando per la sella di Chiunzi, l'Appennino digrada e precipita al mare su Maiori e su Minori, suggellando all'ameno retroterra la roccia pura delle sue ultime selve di pietra, avrete chiaro il paesaggio ove i figli del sole sono stati portati via dalla pioggia, aprendo l'uscio di casa sull'abisso. La sera del 25 ottobre San liberatore s'era tirato sul capo il cappuccio nero. Il priore don Luigi era morto da un pezzo per poter avvertire i fedeli che s'annunciava la malanotte. Proprio la chiesa dell'Annunciata e la vecchia strada di Porta Catena, fiancheggiata da vicoli saraceni e una volta abitata da piccoli pasticcieri scomparsi col tempo, sono intasate di fango. Nell'aria verde e cerca della basilica gli scavatori di fortuna col berretto in testa aprono un varco alle acque. Si passa rasentando con la testa le soglie dei balconi e le insegne. Qui c'era il deposito dei tabacchi e, più in là, verso i giardinetti di piazza Luciani, il panificio dei soldati a sera odorava come una casa di campagna. Qui i morti a braccia aperte, sulla deriva del fiume che ha rotto di sotto in su la strada di Fusandola o precipitati con le case dal salto della Spinosa, sì sono fermati contro gli alberi, contro i portici del teatro, facendosi raccogliere e comporre nella grande pietà delle prime ore».
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